Sarah Scazzi. “Zio Michele, un burattino bugiardo (e innocente) agli ordini delle donne Misseri”

Michele Misseri

Più ascolto i nastri con la registrazione degli interrogatori di Michele Misseri e di sua figlia Sabrina, inclusa la confessione del primo di avere ucciso e poi abusato di sua nipote Sarah Scazzi da morta, più mi è chiaro che le cose non sono andate come i due vogliono far credere agli inquirenti. Cerco di spiegare i perché.

Per quanto riguarda Misseri padre, la dinamica del delitto che lui ci propone non sta in piedi, da qualunque parte la si guardi, sia nella prima versione, dove dice che ha fatto tutto lui, che nella seconda, dove dice che è stata Sabrina a servirgli la vittima su un piatto d’argento.

PRIMA VERSIONE

Lo zio strangolatore racconta che mentre tentava di riparare il suo trattore sua nipote arriva e, anziché andare direttamente dalla cugina Sabrina, che l’aspettava per andare al mare con la comune amica Mariangela, si infila nel garage e:

1) – scende senza dire una parola fino ad arrivare davanti a suo zio;

2) – per l’esattezza, arriva a meno di un metro dallo zio;

3) – gli dice solo “Zio”, cioè un’unica parola;

4) – dopodiché gli gira le spalle per andarsene;

5) – il tutto mentre lo zio non dice una parola, non ricambia neppure il saluto.

L’assurdità di tale sequenza è ancora più grande ed evidente se si considera che lo stesso Michele ha affermato che con Sarah ci “aveva tentato”, l’aveva cioè infastidita sessualmente quanto meno mettendole “una mano sul sedere”. Probabilmente doveva esserci anche qualcosa di più pesante, visto che Sarah di queste “attenzioni” si era lamentata, e non poco. Stando così le cose, dire che Sarah nonostante tutto si infila in una cantina-garage dove si trova proprio tale zio palpatore del sedere e gli arriva quasi addosso equivale a dire che Sarah, anche se giovane e ingenua, un po’ sconsiderata.

Dopodiché:

Sabrina Misseri con la foto di Sarah

6) – zio Michele senza darcene un motivo afferra una corda lunga più o meno un metro, la avvolge un paio di volte alla gola della nipote e la stringe con due mani per 5-6 minuti, poi per un altro paio di minuti quando la nipote è già crollata al suolo. Totale, 7-8 minuti di strangolamento.

7) – Sarah non reagisce, non scalcia, non cerca di difendersi, anche solo per mettergli delle dita negli occhi, non gli sferra neppure un calcio all’indietro tra i testicoli, due atti che avrebbero immediatamente fatto cessare l’azione dello zio e consentito a Sarah di fuggire e quanto meno urlare per chiedere aiuto. Sarah si limita cioè solo a morire. L’unico suo gesto, a detta dello zio strangolatore, sarebbe stato il portare le mani al proprio collo nel tentativo di allentare la presa della corda. Un po’ poco. Troppo poco.

8) – Il telefonino di Sarah casca a terra e per il contraccolpo si apre e perde la batteria. Poiché le mani di Sarah non potevano essere a più di 50 centimetri da terra, doveva trattarsi di un telefonino piuttosto strano se per una caduta così breve perde addirittura la batteria. Ho provato con i miei telefonini, per giunta di tipo vecchiotto, ma la caduta da 50 centimetri gli ha fatto solo il solletico. Se è vero che l’unico atto di Sarah è stato portarsi le mani al collo, si deve pensare che prima abbia lasciato cadere il telefonino, perciò questo non può essere caduto da una altezza significativa, tale da provocare la fuoruscita della batteria. Oltretutto, le batterie dei telefonini sono piuttosto incastrate: io a toglierla dal mio faccio sempre un po’ di fatica.

Se invece il telefonino si è rotto perché Sarah lo ha lanciato via con forza, se ne deve dedurre che ha quindi reagito in modo meno passivo di quanto l’ottimo zio Michele vuole farci credere. Se ha reagito scagliando ciò che aveva in mano, è da pensare che abbia anche scalciato, gridato o almeno emesso dalla bocca suoni soffocati. Dai disegni della casa dei Misseri appare difficile credere che Sabrina – e la sua amica Mariangela nel frattempo giunta – non abbia sentito nulla. Per giunta, in un’ora, le 2 e mezzo del pomeriggio di un caldo 26 agosto, in cui in casa e nell’intera strada il silenzio regna sovrano.

SECONDA VERSIONE

9) – Ammettiamo pure che Sabrina abbia costretto Sarah a seguirla nella cantina garage e a portarla dal padre per darle una lezione per impedire dicesse in giro che “ci aveva tentato”, tentativo peraltro ufficialmente limitato a una palpata del sedere. Strangolare una persona, per giunta una giovane nipote, è cosa ben diversa dal “dare una lezione”. E comunque:

10) – è strano che la “lezione” sia durata 5-6 minuti, con Sabrina che continua a tenere bloccata la cuginetta senza rendersi conto che la stavano ammazzando.

11) – A maggior motivo, se le teneva bloccate le braccia “cinturandola” alla vita, il telefonino non può essere caduto da un’altezza superiore ai 40-50 centimetri, e quindi è impossibile che la batteria sia saltata via.

12) – Non si ammazza una donna, ancorché giovane e la propria nipote, solo perché minaccia di raccontare che le è stato toccato il sedere. Una palpata di sedere, specie in ambito familiare, può anche essere un gesto scherzoso, ancorché indebito e invasivo. E in ogni caso l’ottimo zio Michele poteva dire che la nipote lavorava di fantasia e che la palpata se l’era inventata, come in effetti non è raro che capiti. La sua parola contro quella di sua nipote: chi le avrebbe creduto? E anche fosse, che danno ne avrebbe avuto Michele Misseri?

Riguardo il dopo, vale a dire il trasporto del cadavere della povera Sarah in campagna, spogliarlo sotto un albero di fichi, abusarne sessualmente, rivestirlo per infine spogliarlo di nuovo per gettarlo in un pozzo nei paraggi, il tutto appare talmente sconnesso da non avere senso né più e né meno come la sequenza raccontata per la cantina garage. Trovo strano che zio Michele nel rispondere a chi lo interroga, carabinieri e magistrati, non abbia mai una incertezza, non faccia mai una pausa per ricordare meglio. Il magistrato gli chiede “Quanto è durato l’atto sessuale?”, e lo zio strangolatore risponde senza nessuna esitazione: “Pochissimo”. Di solito un uomo su certe cose tende a esagerare, anziché a “pochissimizzare”. Il magistrato chiede: “Ha eiaculato nel cavadere?”. E il buon zio strangolatore risponde immediatamente “sì”. Senza un attimo non dico di pudore, ma almeno di incertezza data la domanda e data anche la risposta, non proprio di routine.

L’impressione globale che mi viene dalle ore di ascolto dei racconti di Misseri è di una specie di automa parlante, un pupazzo di segatura che lascia fuoriuscire sempre prontamente, senza indugio alcuno, un po’ di segatura dalla bocca. Segatura della quale era già imbottito. L’unica nota per così dire umana – scusate il termine, dato il contesto – è il fatto che zio Michele quando parla dell’albero di fichi dice sempre “l’albero della fica”. M’è venuto in mente quando facevo la prima media a Bari, presso la scuola Orazio Flacco, e la professoressa Maria Spaziante (ne ricordo ancora il cognome) un giorno ci chiese come si chiamano i vari alberi dei frutti che man mano nominava. A me chiese “Come si chiama l’albero della mela?”, e io risposi “il melo”. A un alunno che veniva dalla campagna e parlava più in dialetto che in italiano gli chiese “Come si chiama l’albero del fico?”, e lui suscitando le risate dell’intera classe rispose convinto e in buona fede: “L’albero della fica”.

Veniamo ora alla cara cugina Sabrina. La versione che lei dà della sua attesa di Sarah è semplicemente demenziale. Roba che neppure Godot di Samuel Becket… Dunque: lei per andare al mare assieme sta aspettando la cugina Sarah, che deve arrivare a piedi dalla propria abitazione distante meno di 400 metri, e anziché dare almeno un paio di occhiate alla strada per vedere se arriva si limita a chiedere a chi le capita a tiro, cioè all’amica Mariangela e all’ottimo Michele, se hanno visto Sarah. Il tutto, ripeto, senza mai affacciarsi lei in strada.

In ore e ore di narrazioni, davanti a carabinieri e magistrati, Sabrina ci tiene in modo fin troppo smaccato a mettere un muro invalicabile tra lei e la strada: lei se ne sta sempre “nella verandina”, detta anche patio, ad aspettare la cugina senza MAI guardare in strada per vedere se arriva. Chissà perché, preferisce chiedere se l’hanno vista gli altri, lo chiede a Mariangela e lo chiede al padre. Questa Sabrina pomeridiana del 26 agosto somiglia troppo alla bella addormentata nel bosco, anche se nel suo caso si tratta purtroppo di una bruttina nel minuscolo giardinetto di una villetta di Avetrana, Puglia verace e profonda. Anzi, qui le addormentate nel bosco sono due, dorme infatti beata anche la signora Misseri, la “mogliera” di Michele. Bruttona o bruttina, ma a giudicare dalle foto e dalla tv, Sabrina comunque è dotata di due braccione robuste, bicipiti muscolosi. Tant’è che a miei conoscenti è venuto spontaneo chiamarla Pastamatic.

L’assurdo volersi tenere a tutti i costi lontana dalla strada, barricandosi nell’attesa nella “verandina” a mo’ di rifugio antiatomico e barricandosi nel chiedere di Sarah agli altri, inchioda Sabrina come fin troppo reticente. Così come il suo immediato allarmarsi e allarmare, dando per scontato che Sarah fosse “stata presa”, la inchioda all’evidenza del sapere o almeno intuire cosa fosse successo. Oltretutto, quando Sabrina spiega perché lei, “dato che Sarah la conosco benissimo”, esclude che possa essersi allontanata spontaneamente, fornisce delle spiegazioni risibili. Anzi, si contraddice pesantemente.

Sabrina infatti ha accusato Sarah, di fronte ad amici che lo hanno riferito ai magistrati, di “vendersi ai ragazzi per due coccole” e che di questo vendersi l’accusava “anche sua madre”. È fuor di dubbio che una quindicenne che si vende “per due coccole” può benissimo essersi assentata per un po’ per andare, appunto, a farsi “coccolare” in santa pace da qualcuno da qualche parte. Le “spiegazioni” di Sabrina quindi NON spiegano nulla. O meglio: se spiegano qualcosa, spiegano semmai che lei mente.

Ma ad ascoltare le ore e ore di racconti e risposte di Sabrina agli inquirenti, carabinieri e magistrati, viene invece da pensare sia innocente, tanto è convinta e affastella parole su parole, particolari su particolari. Tanto suo padre è di poche e precise parole, quanto Sabrina è sovrabbondante di parole imprecise e inutili. Un profluvio. Un diluvio. Ma le donne, “si sa”, amano parlare, sono chiacchieorne “per natura”. O almeno così si usa maschilisticamente dire. Una che tiene testa così a magistrati e carabineiri, ufficiali e sottufficiali, non può essere colpevole, viene da pensare. A parte le braccia da Pastamatic, l’assurdità dell’attesa barricata nella “verandina”, l’allarme lanciato con fretta eccessiva e la contraddizione sul “vendersi per due coccole”, qualcosa nella convinzione dell’innocenza di Sabrina da parte dell’ascoltatore delle registrazioni si incrina quando si scopre che ha taciuto alcuni particolari non di poco conto.

Riguardo il litigio con Sarah una sera prima del delitto, litigio riferito da testimoni, Sabrina prima dice che non può avere litigato perché occupata solo a sentire musica con gli auricolari, poi dice di non ricordare, infine dice che non si è trattato di un litigio, ma del solito “sfotterci” sui ragazzi e dintorni. Ma allora gli auricolari?

Una scenata di Sabrina al bar contro Sarah, accusata di “vendersi a chiunque per due coccole” e umiliata così al punto da piangere, scenata riferita da testimoni, prima viene negata, poi non ricordata, infine degradata anche questa al solito “sfotterci” per i ragazzi e dintorni. Particolari del debole di Sarah per un ragazzo di nome Ivano vengono non solo accuratamente nascosti, ma si scopre che la stessa Sabrina ha consigliato a Ivano di tacere “perché se no scoppia un casino”. Così come ha inviato non pochi sms ad amici e amiche esortandoli a raccontare particolari – come dire? – non propriamente esatti. Non si direbbe questo l’atteggiamento di una cugina di 20 anni in ambasce per la scomparsa della amata cuginetta di 15. Ma Sabrina colta in castagna se la cava con un “ho sbagliato”, “questo è stato un mio errore”, ripetuto agli inquirenti ad abundantiam sempre con lo stesso tono monocorde, privo di pathos, che la contraddistingue e che dura ore. Finché a un certo punto si mette a piangere. E i magistrati, buoni di cuore, sospendono l’interrogatorio chiedendo anche se vuole un bicchiere d’acqua o un caffè e la esortano a stare calma e serena.

Ecco, gli inquirenti. Carabinieri e magistrati. Si resta stupiti dal loro tono sempre cortese, mai minaccioso o sarcastico, sia con Misseri padre sia con Misseri figlia. Qualche volta un magistrato si spazientisce con Sabrina, tanto lei mena il can per l’aia, ma sempre entro limiti più da chiacchierata che da interrogatorio per un omicidio. Le domande a Misseri padre, Michele, sono corredate da un quasi affettuoso “Miché” o da un cortese “signor Misseri”. E le sue risposte sono accolte spesso con un “Benissimo” detto con voce piana, da routine, non si coglie un accento di rimprovero e tanto meno di orrore neppure quando ci sarebbe da sbattere la testa al muro o scoppiare a piangere. I magistrati e i carabinieri nelle domande sono implacabili, precisi, pignoli, un rullo compressore, sia con Michele che con Sabrina, ma sempre cortesi, educati, rispettosi. Insomma, mano ferma in guanto di velluto. Grande professionalità. Sembra Maigret o Poirot. Colpisce anche perché totalmente diversa dai marescialli e ufficiali dei carabinieri, dai magistrati e poliziotti propinatici in continuazione da gialli e serie televisive “all’italiana”. Ancora una volta si scopre che la tv in Italia propina realtà fasulle. Del resto se non fosse così non avremmo il primo ministro che abbiamo.

Conclusione? Conclusione, se fossi il pubblico ministero del processo ai Misseri credo che punterei il dito contro l’affabulatoria addormentata nel patio, e del padre direi che somiglia a un pupazzo manovrato da braccia robuste. A proposito di braccia, non so come le abbia la sua “mogliera”, so solo che viene dipinta come una matrona, o meglio come un madre matrona, equivalente femminile del padre padrone. Michele somiglia a un pupazzo, ma anche a uno zerbino. Non a caso leggo sui giornali che l’altra sua figliola è andata a trovarlo in carcere per dirgli che deve cambiare avvocato, al posto di quello d’ufficio deve prenderne uno di fiducia. Sì, ma di fiducia di chi?

Per fortuna però non faccio, e mai farei, il pubblico ministero. Faccio invece il giornalista. E, come purtroppo non capita a tutti,  dubito sempre delle verità ufficiali.

Published by
Marco Benedetto