Da Schifani a Napolitano, via Grillo, Di Pietro e Fassino. Sbagliato criticare i contestatori, pericoloso eccitarli

Antonio Di Pietro, democrazia o demagogia?

Premessa 1. Grillo e di Pietro sono agli antipodi delle mie idee e delle mie simpatie.

Premessa 2.  Cosa penso di Schifani l’ho già scritto. Ricordo solo che fu proprio lui il primo ad agitare dal suo scranno il randello delle elezioni anticipate. Disciplina di partito? Probabilmente. Ora che il bluff delle elezioni anticipate si è miseramente ammosciato in mano a Berlusconi, Schifani si è adeguato al contrordine compagni.

All’uomo politico è dovuto rispetto, ma non possiamo accettare che tirato il sasso poi si nasconda dietro lo scudo della carica istituzionale. Allo stesso modo credo che Napolitano nell’ultimo mese abbia infilato una serie di errori di comportamento che gli hanno un po’ appannato l’immagine.

Premessa 3. Condivido le parole di Giulietti. Contestare può essere un dovere civile e la libertà di contestare tutto e tutti è alla base della democrazia.

Bisogna vigilare che la contestazione non scivoli nella violenza, ma anche vigilare fa parte della dialettica democratica. Ed è proprio compito dei politici definire i confini e farli rispettare, per non commettere gli errori di Giolitti e Moro che fecero pagare agli italiani il primo, alla propria persona il secondo, l’eccesso della propria tolleranza.

Sono confini molto sottili: da una parte c’è un regime autoritario,  e il salto può essere immediato; dall’altra c’è il rischio del terrorismo, in cui si scivola a poco a poco e ci si trova in mezzo senza accorgersene. Meglio il secondo rischio che la prima certezza: è un prezzo della democrazia e della libertà, che dobbiamo essere felici di pagare. Viviamo in un momento difficile, la libertà è un bene borghese e aristocratico, milioni di italiani sarebbero felici di barattarla per un posto sicuro in municipio o dieci punti di aliquota in meno. Per questo non si deve scherzare col fuoco. O andare a cercar rogne.

Premessa 4. Non si puo insultare, usare un linguaggio violento o offensivo, demonizzare l’avversario, caricarlo di tutte le colpe del mondo e pensare che quelli fuori dal circolo non fissano per prenderci sul serio. Un conto è discutere tra vecchi amici in salotto o tra addetti ai lavori, fuori non lo sanno e ci credono davvero. Per questo credo sia un errore incentrare tutta la strategia della sinistra sull’antiberlusconismo. Credo invece che per mandare a casa Berlusconi ci vogliano i voti e che per vincere le elezioni ci vogliano programmi impegni e anche promesse.

Premessa 5. L’esperienza nel resto del mondo insegna che la destra vince da posizioni estreme e la sinistra deve prendere voti al centro. Con tutto il male che si può pensare e dire di Sarkozy, quando ha cercato posizioni più moderate ha perso posizioni favorendo l’ultra estremismo dei Le Pen. Per quanto trovi detestabile Tony Blair, ha riportato il labour al governo inglese su posizioni moderate e centriste. Brown ha fatto riapparire il ghigno del vecchio partito, ha spaventato i ceti medi e ha perso. Ricordo anche che quando il Pci stava per superare la Dc come partito di maggioranza relativa, non proponeva un programma sovietico ma gli slogan erano di giustizia, moralità, sana amministrazione, moralità, tutti temi che stavano a cuore ai ceti medi esasperati da violenza, rapimenti e inflazione sopra il 20 per cento.

Fatte queste premesse, ne consegue che:

1. Invitare Schifani alla festa del Pd è stato un errore doppio: per la scelta della persona e perché uno come lui sul tema riforme non aveva niente da dire che non fosse ripetere giaculatorie berlusconiane. La gente legge i giornali, ha letto che Schifani ha detto tutto e il contrario di tutto, anche dopo Torino: prima sosteneva che sciogliere le Camere era un atto dovuto, ora contrordine compagni, decide il Presidente della Repubblica. I dirigenti del Pd sono forse troppo impegnati per riuscire a leggere tutto, ma i loro elettori tempo libero ne hanno, specie se sono disoccupati o in cassa integrazione, e hanno le idee ben chiare.

2. Dare degli squadristi a gente che protesta in modo forse un po’ molto vocale, ma stando dietro i cordoni è solo una variante chic dell’intolleranza mostrata da Ignazio La Russa contro due italiani che per strada a New York gli strillavano col megafono domande imbarazzanti. Lui rispose dicendo “pedofili”. Squadrista è una tacca sotto, ma gente come Fassino non può usare le stesse parole di Fini. Un ex fascista sa di cosa si tratta, lui dovrebbero avere letto alla scuola di partito cosa facevano gli squadristi, altro che vuvuzelas, erano randelli e olio di ricino.

3. Però attenzione, perché si può finire in situazioni imbarazzanti e anche pericolose farsi dare la linea da Grillo e Di Pietro, magari cercando di imitarne il fiorito linguaggio e i toni forsennati, riparlando di fogne vent’anni da quando il genio del tuo demonio ha fatto uscire proprio  quelli con cui oggi almeno una parte del tuo partito discute pubblicamente e ridicolmente di allearsi.

Sono giochi pericolosi e purtroppo il rischio che corre il partito della sinistra è di finire stritolato tra le spinte radicali e demagogiche di Grillo e Di Pietro e il fastidio dei tanti moderati che vogliono una ragione, una ragione sola (ma che non siano le puttane per favore) per abbandonare Berlusconi e “andare verso il futuro”. Quando vedo le foto di Di Pietro oratore mi viene in mente Orazio: “Vulgus vult decipi”, il popolaccio vuole essere ingannato. Ma di popolaccio, in Italia, ce n’è sempre meno. Grazie ai progressi che l’Italia ha fatto con la Repubblica, siamo in tanti che abbiamo studiato e sappiamo leggere capire e ragionare con la nostra testa. Siamo la maggioranza. Quel vulgus è minoritario, lasciatelo alle promesse mai mantenute di Berlusconi, Fini e Di Pietro.

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Marco Benedetto