Rocce porose, fratture e gas: ecco il sottosuolo del terremoto in Emilia

ROMA – La terra ha tremato in Emilia Romagna, portando 17 vittime il 29 maggio e altri crolli. Quella terra che trema, causa panico e dolore, non è una sconosciuta ai geologi italiani. Maurizio Pellegrini, docente dell’università di Bologna morto circa un mese fa, in uno studio spiegava la composizione del suolo della pianura Padana. Lo studio è stato realizzato per il progetto sui depositi sotterranei di stoccaggio di gas come metano e anidride carbonica a Rivara, frazione di San Felice Sul Panaro, uno dei Comuni più colpiti dal terremoto. Il progetto della centrale del gas prevede che i gasdotti siano costruiti tra Finale Emilia, Medolla e Mirandola, proprio la zona di epicentro dei terremoti del 20 e 29 maggio. Proprio quella zona e quel suolo che sotto la spinta del terremoto va in liquefazione, passando da sabbia a  fango e inghiottendo interi paesi come San Carlo di Sant’Agostino.

Pellegrini nel rapporto pubblicato da Rivara Storage di Erg spiega: “La struttura geologica profonda di Rivara nasce tra 200 e 125 milioni di anni fa, quando si è depositata sul fondo marino una serie di sedimenti calcarei e dolomitici spessa oltre 2 chilometri appartenente ad una ampia piattaforma carbonatica che si estende sotto tutta la pianura padana. Qualche milione di anni fa si è formata nel sottosuolo una piega indipendente facente parte di un arco tensionale  che ha coinvolto questa enorme piattaforma tra Reggio Emilia e Ferrara. Sarà la parte superiore di questa piega ad essere utilizzata come roccia serbatoio per lo stoccaggio del metano. I movimenti che milioni di anni fa hanno causato questa piega hanno prodotto nella roccia calcarea, e solo in questa, anche un sistema di fratture e fessure naturali che – ora piene di acqua salata – che saranno destinate ad ospitare il metano”.

Sotto la pianura Padana si estende dunque una “spessa serie di roccia calcarea permeabile – spiega Pellegrini -, di età Giurassica e Cretacea, a matrice compatta e fessurata naturalmente, culminante a 2.477 metri di profondità, con uno spill point a quota 3.180 metri sotto il livello del mare. È in tutto e per tutto simile a quelle che costituiscono i maggiori giacimenti petroliferi italiani. È dotata di grande robustezza ed ha un volume utile di 6,8 miliardi di metri cubi di gas”.Pellegrini nell’analisi spiega che la struttura sotterranea, che è la ‘roccia serbatoio’ in cui il gas sarebbe stoccato, è porosa, permeabile e fratturata e permette il contenimento di fluidi anche in movimento.

Lo studio di pellegrini ha anche analizzato la ‘roccia di copertura’, una sorta di tappo per la roccia serbatoio, che “è sigillata dalle formazioni geologiche impermeabili delle Marne del Cerro e della Scaglia di età Cretacea e dalle spesse formazioni argillose Terziarie sovrastanti. Queste rocce costituiscono nel loro insieme una formidabile barriera contro ogni movimento del gas al di fuori della roccia serbatoio, verso l’alto o verso qualsiasi lato”. La roccia di copertura poi è costituita da una serie di “rocce plastiche ed impermeabili non si possono rompere neanche se sottoposte a pressioni dal basso assai maggiori rispetto alla pressione massima di esercizio dello stoccaggio”. Dati che, continua Pellegrini, dimostrano “ampiamente come la roccia di copertura non possa essere fratturata dalla massima pressione statica e dinamica prevista al culmine della struttura a serbatoio pieno”.

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