BERGAMO – Dopo la scoperta del corpo senza vita di Yara Gambirasio tanti dubbi, ma anche tanta paura, coinvolgono i cittadini di Brembate Sopra. Già perchè prende corpo l’ipotesi della cosiddetta “pista locale”, si pensa ad una persona che conosce le campagne, le strade, che sa esattamente come e quando muoversi per passare inosservato. Qualcuno che dopo un tentativo di violenza è arrivato ad ucciderla per evitare di essere riconosciuto. Il corpo di Yara, uccisa con sei coltellate, è stato infatti ritrovato a 9 km da casa, in un campo in cui le ricerche erano già state fatte e che non è poi così nascosto. Qualcosa non torna.
Potrebbero essere almeno tre i nomi dei sospettati per l’omicidio. Il primo è quello del testimone Enrico Tironi, che raccontò di aver visto Yara con due uomini salire su una Citroen rossa ammaccata. Gli contestarono che la sua cella telefonica non si trovava in quel punto a quell’ora.
Potrebbe essere presto risentito Moahmed Fikri, il famoso marocchino di vent’anni rilasciato con tante scuse all’alba del 6 dicembre. Si scopre l’alibi che ha è quello che gli fornì il suo datore di lavoro. Sarebbe lui il secondo sospettato di Brembate, è di lui che all’improvviso tutti si ricordano, insieme al cantiere dove lavorava, insieme ai bloodhound che si fermarono proprio lì, insieme al suo viaggio per il Marocco interrotto da un arrembaggio dei carabinieri al largo di Genova.
Il terzo sarebbe un nome che si annida fra i 500 testimoni presi a verbale dal 26 novembre a oggi dalla Procura della Repubblica di Bergamo, uno che viene marcato stretto, che potrebbe anche commettere l’errore della sua vita. Potrebbe essersi servito di una divisa fosforescente della Protezione civile non solo per camuffarsi, ma anche per sviare le ricerche.
Molti però i punti ancora da chiarire. Sei coltellate, al torace, alla gola, alla schiena. Colpita alle spalle mentre, forse, cercava di scappare. La ragazzina forse conosceva il suo carnefice. Chi ha ucciso Yara si è preoccupato di non rendere rintracciabile il cadavere, facendo a pezzi il telefono. Persino il luogo del ritrovamento del cadavere lascia pensare ad una persona del posto. Solo chi conosce quei luoghi può sapere che quella strada, in una zona industriale con una discoteca nelle vicinanze, è senza sbocchi. La convinzione di alcuni investigatori è comunque che a uccidere la ragazza sia stata una persona sola, da lei conosciuta o sconosciuta non si sa. Ma la grande speranza è che le tracce che potrebbero evidenziarsi nelle prossime ore dagli esami di laboratorio successivi all’autopsia, siano compatibili con qualcuno di quei profili acquisiti nei mesi precedenti.
Crea sospetti proprio la presenza della discoteca, affollatissima di giovani al fine settimana, di persone che passavano dì per fare jogging, che portavano a spasso i loro cani. Com’è possibile che nessuno abbia visto il corpo in questi tre mesi? Sono tante le domande che ancora non hanno risposta. Il timore più grande è che il mostro si nasconda all’interno della comunità. Dopo l’orrore e la rabbia ci si chiede se qualcuno sapeva e non ha parlato.
La polizia eseguirà dieci prelievi del Dna per dieci ipotetici assassini: tra Brembate di Sopra e Chignolo d’Isola si cerca chi ha tolto la vita a Yara. L’ipotesi di acquisire i campioni del Dna di una decina di persone rappresenterebbe, secondo quanto riferisce Claudio Del Frate sul Corriere della Sera, l’imbocco della pista da battere per trovare chi ha accoltellato alle spalle e alla gola la ragazzina di 13 anni scomparsa tre mesi fa nel bergamasco.
Il mistero sulla sua morte è appeso anche ai tabulati telefonici della sera della sua scomparsa: quanti cellulari si sono agganciati alla cella di Brembate e poi a quella di Chignolo tra le 18.30 e le 19? E poi perché l’assassino ha lasciato la sim card del cellulare di Yara nel giubbotto? Gli investigatori però hanno deciso di chiedere anche alla discoteca “Sabbie Mobili Evolution”, che si trova a circa un centinaio di metri dal terreno su cui giaceva la tredicenne, arrivata lì probabilmente poche ore dopo la sua scomparsa.
Gli investigatori puntano quindi a qualcuno della zona, forse a un maniaco, a un uomo con precedenti di aggressioni a sfondo sessuale. Il primo passo è rispolverare i faldoni con i nomi in lista, poi probabilmente prelevare e analizzare il profilo genetico per vedere se c’è una traccia che aiuti a ricostruire cosa davvero è successo.
Il “maniaco” dunque, ma chi è? Gli investigatori tentano di fornire un profilo, i sospettati sono tanti, parecchi. Dopo tre mesi gli investigatori parlano dunque esplicitamente, ed esclusivamente, di “maniaco”. L’ha presa un maniaco, uno che voleva verosimilmente abusarne ma che, non riuscendo a farlo, l’ha frettolosamente uccisa e abbandonata in un campo per occultare le prove della propria colpevolezza. Questo, almeno, fanno intendere poliziotti e carabinieri i quali si ritrovano pure costretti ad ammettere che da novembre a oggi forse si è perso troppo tempo dietro altre ipotesi troppo fragili rispetto alle energie impiegate per verificarle.
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