Chiesa e Celibato: “j’accuse” di un ex prete americano

In America, come nel resto d’Europa, il dibattito sul celibato del clero sembra non interessare più. La scoperta, solo qualche mese fa, di un ennesimo scandalo di abusi sessuali, aveva riacceso una querelle secolare, millenaria ormai; quella sulla liceità del matrimonio per il clero. In questa campagna, tutta culturale e molto giornalistica, testate del calibro del Washington Post, del New York Times, del tedesco Der Spiegel (il quale ha dedicato al tema un ampio intervento e una copertina “scomoda”), si sono fattivamente schierate a favore dell’apertura d un dibattito all’interno della Chiesa Cattolica per permettere infine, per “rintrodurre” direbbero altri, lo stato matrimoniale dei preti.

In questo contesto, il prestigioso giornale Boston Globe (posseduto, non sarà un caso, dal New York Times), rilancia l’argomento con un bell’editoriale di James Carroll, scrittore, columnist ed ex-prete. In qualche pagina dallo stile chiaro ed efficace, Carroll propone un’interpretazione personale del voto della castità e denuncia le ipocrisie delle gerarchie ecclesiastiche sull’argomento. Scrive: «Quello che ho capito 35 anni fa è diventata una convinzione condivisa da molti: il celibato tocca il cuore di quello che c’è di sbagliato nella Chiesa Cattolica. Malgrado i dinieghi di Roma, non ci sarà una cessazione degli scandali sessuali senza una riforma incentrata sull’abbandono del celibato come requisito universale per l’ordinamento di preti cattolici».

Il celibato non è beninteso la “causa” degli abusi sessuali sui minori e difatti, la maggiori parte dei crimini avvengono all’interno del circolo famigliare o delle reti di conoscenti. Quello di cui il celibato cattolico è responsabile è ben altro: «Immaturità, narcisismo, misogina, incapacità di intimità, errori sulla morale sessuale». Tutte queste pecche rappresentano alcuni dei diffusi luoghi comuni sulle insufficienze delle gerarchie ecclesiastiche: «Il clero cattolico è direttamente legato all’inumana asessualità che gli è posta davanti come un ideale».

La relativa modernità dell’istituzione del celibato – impostosi solo col primo Concilio Laterano nel 1139, cioè dopo un millenario di storia ecclesiastica – è un argomento condiviso da tutti i commentatori favorevoli all’apertura di un dibattito. Nel lontano dodicesimo secolo, il decreto lateranense, che voleva concludere un’epoca di anarchia normativa e di vani richiami all’ordine, serviva in primo luogo a frenare il lassismo clericale e ad eliminare le questioni relative all’eredità. Ma, scrive Carroll, siccome il celibato rappresentava una scelta estrema, la richiesta fu mistificata come un sacrificio volto ad una più perfetta unione tra il prete e Dio.

Perché questo voto non originario è diventato così centrale nella Chiesa di oggi, si chiede l’editorialista? La risposta è che il celibato «come molti altre questioni relative al genere sessuale, all’identità, alla riproduzione non riguarda il sesso, bensì il potere». Le gerarchie cattoliche, grazie a l’imposizione del celibato, riescono ad esercitare un controllo sulla vita interiore del clero, poiché la sottomissione all’astinenza radicale richiede una straordinaria rinuncia alla propria volontà.

In diverse occasioni, a causa della miopia delle gerarchie si è persa l’occasione di un proficuo dibattito. Il Concilio Vaticano Secondo, con la salita al soglio del conservatore Paolo VI, deciderà, nonostante gli annunci, di non occuparsi di un argomento che, così si esprimeva il papa, «richiede la più grande prudenza».

Carrell conclude il suo pamphlet con un violento j’accuse: «La natura psicotica e repressiva di questa cultura di potere si è rivelata negli scandali sessuali. Bugie, rifiuti, arroganza, egoismo e viltà – questi sono gli elementi della struttura al cui interno vivono i preti cattolici. Il celibato è il pilastro della struttura centrale e deve essere rimosso. Il popolo cattolico lo sa chiaramente. E’ tempo di dirlo».

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fmontorsi