Per un bambino desideroso di educazione nascere nel Bengali dell’ovest, in India, non è una fortuna. Qui, la maggior parte dei minorenni lavorano, le ragazze come domestiche nelle case dei vicini, i ragazzi nei campi. Ci si sveglia alle sei di mattina e si lavora sodo, a volte fino a sera.
La scuola pubblica nello stato del Raj Govinda è gratuita. Ma non per questo la scuola è per tutti. Molte famiglie non possono privarsi di un’entrata, e sono costrette a mandare i loro figli, spesso dalla tenera infanzia, a lavorare. Inoltre, il costo dell’uniforme, dei libri scolastici, e dei mezzi di trasporto per raggiungere la scuola sono altrettanti ostacoli ad una partecipazione generale alla scuola pubblica.
Eppure, i miracoli, quelli laici, succedono, e da queste parti, nel villaggio dove abita Chumki Hajra, il miracolo si ripete ogni giorni, cinque giorni alla settimana. Qui, ogni pomeriggio, alle quattro, suona un campanaccio e frotte di bambini di ogni età e svariate condizioni accorrono come cavallette. Di solito sono diverse centinaia, ottocento in media, e, accalcati su panchine malferme, seduti per terra, si radunando nel cortile della casa di Babar Ali.
Babar Ali è un moderno pifferaio di Hamelin, ed oltre al fantasioso titolo, gli si aggiunge quello di più giovane preside del mondo, 16 anni compiuti. Grazie a Babar Ali, Chumki Hajra, che da quando ha cinque anni lavora come domestica nel suo villaggio, insieme ad altre decine di bambini, può imparare le basi dell’insegnamento primario.
Babar Ali non è un rappresentante di un Ong, è un bambino come gli altri in questa parte dell’India, con la fortuna di avere una famiglia che può mandarlo a scuola. Ogni giorno si sveglia all’alba, sbriga qualche faccenda domestica, prende un autobus, scende, cammina due chilometri e arriva a scuola, impara, studia. E dopo, appena esaurito il trillo della campanella, si dirige verso il suo villaggio, Murshidabad.
Da quando ha nove anni, Babar Ali anima una scuola “parallela”, quella dove insegna, ai bambini del villaggio che non possono andare a scuola, quello che lui, che a scuola ci può andare, ha imparato. All’inizio era un semplice gioco, una recita, interpretata ad uso di uno sparuto gruppo di amici incuriositi. Poi, le cose si sono ingrandite, e Babar ha “capito che questi bambini non impareranno mai a leggere e scrivere senza vere lezioni” e che era “suo dovere di educarli, aiutare il nostro paese a costruire un futuro migliore”.
Nel frattempo i riconoscimenti sono arrivati, ora gli insegnanti sono dieci (tutti continuano a dedicare benevolmente il loro tempo alla causa dell’educazione), e i costosi libri sono forniti grazie alla generosità di organizzazioni umanitarie.
Chumki Hajra finisce di lavorare alle due, dopo sette ore di lavoro, mangia e viene nel cortile di Babar Ali, dove, accalcata su una panchina con altre ragazze, segue la lezione del giorno, prima di ritornare, alle sette, a fare qualche altra pulizia. Chumki da grande vuole diventare infermiera. Se ce la farà, lo dovrà alla sua incredibile fame di educazione e al piccolo miracolo che ogni giorno Babar Ali mette in scena a Murshidabad.