Dileggiando il “politologo” Hacker avventuratosi nei territori sconosciuti della scienza matematica solo per balbettare vecchie scemenze degne dell’idealismo di “Croce e Gentile di un secolo fa, e il bel risultato che si ottiene a non far studiare la matematica agli umanisti lo si vede anzitutto dalle loro opere filosofiche, appunto”.
Però, anche non essendo abbastanza aggiornati nella filosofia analitica di stampo anglosassone che piace a Odifreddi, resta il tema degli ostacoli al proseguimento degli studi e degli incentivi alla mortalità scolastica, che pur un po’ rozzamente, il professor Hacker poneva. Ci sarà una via di mezzo tra la fisiologica indolenza degli adolescenti (“la matematica non sarà mai il mio mestiere”) e la rigidità della madre/tigre asiatica che il figlio lo legherebbe volentieri a una sedia per farlo studiare, algebra soprattutto?
Comunque, dice Hacker, risolvere, per esempio (x² + y²)² = (x² – y²)² + (2xy)² (è un’equazione, niente paura non morde) non è imprescindibile per avere opinioni politiche consapevoli o sostenere analisi sociali credibili. Il riscontro empirico lo assolve (mettiamoci alla prova per verifica) ma non è che con storia, letteratura, geografia vada sempre tanto meglio. Alla fine il problema (nel senso della complessità intellettuale) dell’inutilità dell’algebra (e lo sottolinea Odifreddi) riguarda la meravigliosa gratuità del pensiero algebrico e l’intrinseca bellezza di una formula, la seduzione di un teorema.
Ma il politologo provocatore è convinto proprio della necessità di educare gli studenti a comprendere quanta matematica informi le conquiste storiche ed estetiche nell’arte, nella letteratura. Un modello (di rigore analitico e di critica permanente) potrebbe essere il Lewis Carroll di Alice nel paese delle meraviglie, dove il matematico Dodgson (vero nome dell’autore) riesce a inscenare un criptico processo alle pretese illogiche dei matematici del tempo. E a proposito di astrazioni, vale il precetto di Seneca: “È sicuramente meglio conoscere cose che non servono a niente, piuttosto che non conoscere niente”.