Al di là del risultato del voto, dei vincitori e dei vinti, l’ultima campagna elettorale inglese ha visto i riflettori puntati sulle tre possibili first-lady. Sarah Brown, Samantha Cameron e Miriam González Durántez sono state oggetto di un interesse morboso, che riflette la tendenza dominante nel mondo occidentale alla personalizzazione della politica, ma forse anche qualcos’altro.
A chiederselo, come riporta Maria Laura Rodotà in un articolo apparso sul Corriere della Sera, è la stessa stampa britannica, che si domanda se l’eccessiva attenzione attribuita alle mogli dei candidati (piuttosto che alle donne in corsa per la Camera dei Comuni) non sia «un segnale di regressione».
Le mogli dei tre leader di partito, l’ex premier Gordon Brown, il Tory David Cameron, il LibDem Nick Clegg, sono state “raccontate” nonstop nelle ultime settimane, tanto da far ribattezzare il voto del 6 maggio la “Wags Election”. Dove “wags”, per una volta, non indica come consueto le “Wives and Girlfriends” (mogli e fidanzate) dei calciatori, bensì dei candidati premier.
Ma sul Guardian Marina Hyde ha commentato con sarcasmo: «Sembrano provini per casalinghe anni Cinquanta. Il premio è venire definita “l’arma segreta” del marito, facendo sembrare una moglie qualcosa di cui la Corea del Nord si è scordata di informare l’Onu».
A dire la verità, le tre donne in questione sarebbero tutt’altro che casalinghe disperate. Sarah Brown, ex capo di una società di pierre, cura l’immagine del marito. È seguita su Twitter da un milione di persone (sei volte gli iscritti al partito laburista guidato dal coniuge), ma ha preferito dare di sé un’immagine tradizionale, raccontando le novità sul suo orto e dipingendo il marito come uno che cucina da cani, ma è sempre servizievole nell’apparecchiare e sparecchiare.
Samantha Cameron ha puntato invece sull’immagine di “aristomamma chic” (come l’ha battezzata la Rodotà). Una scelta, quella di enfatizzare il proprio ruolo di madre di famiglia, condivisa anche da Miriam González Durántez, avvocatessa spagnola che ha preferito, però, lasciare in secondo piano la carriera e proporsi ai media come affettuosa mamma di tre maschietti.
Una strategia per conquistare le donne di classe media con figli, che secondo i sondaggi costituivano un gruppo elettorale tanto indeciso quanto decisivo. Anche se l’89 per cento degli elettori inglesi aveva dichiarato che le mogli non avrebbero influenzato il loro voto.
Opinione condivisa anche dall’82 per cento dei francesi, per cui la vita privata dei politici non avrebbe peso nelle scelte elettorali. Una reazione di rigetto, forse, per l’eccessivo bombardamento mediatico che ha interessato la coppia Sarkozy-Bruni, oggetto di continue speculazioni su tradimenti o dissapori.
«E allora?» si chiede la Rodotà. La possibile saturazione britannica dopo il ciclone Wags e «l’irritazione di molti francesi per la “presidenza disfunzionale” di Sarko più Carlà, porteranno, nel medio termine, a un ridimensionamento del ruolo delle first ladies? Oppure, le supermogli diventeranno sempre più un accessorio neotradizionalista irrinunciabile nelle oligarchie pop?».
Ai posteri, come sempre, l’ardua sentenza. Mentre ai contemporanei sarebbe forse utile riflettere sull’avvertimento lanciato da Eric Fassin, sociologo dell’École Normale Supérieure: dietro questi battage mediatici «si potrebbe leggere il tentativo di occultare un deficit democratico, compensando le carenze politiche con operazioni puramente simboliche».
