Il linguaggio gestuale degli italiani: dal “tutorial” del NY Times ai vasi greci

Il linguaggio gestuale degli italiani: dal “tutorial” del NY Times ai vasi greci

ROMA – “Le mani: sono immobili a Londra, si muovono a Parigi, si agitano vorticosamente a Roma, dove sono le eliche del pensiero”: lo scriveva oltre mezzo secolo fa l’umorista francese Pierre Daninos. Che gli italiani gesticolino non è una notizia: è uno stereotipo, un luogo comune, ma uno di quei luoghi comuni verissimi. Per noi è così naturale e scontato da trovare quasi ridicolo che il New York Times ci dedichi un articolo. Ma il pezzo scritto da Rachel Donadio (cognome che tradisce le origini italiane) è divertente, ragionato e – per i non italiani – anche molto utile, visto che è accompagnato da video e foto che illustrano il significato di gesti per noi molto familiari.

“Nel grande teatro all’aperto che è Roma, i personaggi parlano con le mani almeno quanto con la bocca”: inizia così l’articolo della Donadio, che poi passa in rassegna i gesti più utilizzati:

«Alcuni gesti sono semplici: il lato della mano contro il ventre significa fame, il dito indice che ruota puntato sulla guancia indica qualcosa che ha un buon sapore, e toccare il proprio polso è un segno universale per dire “sbrigati”. Ma altri sono molto più complessi. Essi aggiungono una inflessione – di fatalismo, la rassegnazione, stanchezza di vivere – che è parte del modo di vivere italiano quanto respirare.

Due mani aperte possono fare una vera domanda: “Che cosa sta succedendo?” Ma le mani giunte in preghiera possono diventare una sorta di supplica, una domanda retorica: “Che cosa ti aspetti che faccia?” Se chiedi a che ora un autobus romano arriverà, la risposta universale sarà uno stringersi nelle spalle, un “eeehh” che suona come il rumore di un motore e due mani alzate che dicono: “Solo quando vorrà la Provvidenza”».

Gesticolare fotografa come pittoreschi agli occhi degli americani alcuni famosi politici italiani. Silvio Berlusconi e il gesto delle corna. Berlusconi che ruota le mani a vortice davanti a Michelle Obama, in segno di apprezzamento, sotto lo sguardo scettico del marito Barack. Giulio Andreotti che tiene le mani intrecciate, non le usa: “Un sottile segnale di deterrenza, che indicava il tremendo potere che il sette volte primo ministro avrebbe potuto dispiegare se fosse stato necessario”.

La parte più interessante è quella in cui il New York Times prova ad analizzare l’origine di questa “invidiabile, elegante coordinazione” con la quale gli italiani da secoli comunicano senza parlare.

Isabella Poggi, psicologa all’università di Roma Tre che ha codificato circa 250 gesti che gli italiani utilizzano abitualmente sostiene una teoria che va in controtendenza con la spiegazione più diffusa. Parlare con le mani è un’abitudine affinata in centinaia di anni di occupazioni straniere: serviva, secondo la Poggi, a comunicare senza farsi capire dai nuovi padroni. Si sapeva, invece, che gli italiani hanno fatto sempre più ricorso al linguaggio gestuale proprio per riuscire a comunicare con invasori che non parlavano la loro lingua.

La Poggi ricorda anche gli studi, nel secolo XIX, dell’archeologo Andrea De Iorio: sui vasi greci erano dipinte figure che gesticolavano più o meno come gli italiani di un paio di millenni dopo. Il linguaggio gestuale come esperanto sopravvissuto allo scorrere del tempo.

Una terza spiegazione la fornisce Adam Kenton, direttore della rivista Gesture. I primi a gesticolare furono i napoletani: era un modo per attirare l’attenzione in una città molto affollata, dove tante distrazioni potevano accalappiare gli occhi e le orecchie degli interlocutori. Parlare con il corpo sarebbe stata quindi un’esigenza teatrale, un modo per catturare il proprio pubblico.

Poi c’è la spiegazione ironica che dà Massimo Gramellini su La Stampa, commentando l’articolo del New York Times: “Gli italiani parlano a gesti per non farsi intercettare dalle cimici degli americani”.

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