Ne è passato di tempo da quando nacque Internet (la Rete), alla fine degli anni Sessanta, con lo scopo di garantire comunicazioni stabili tra le sedi delle forze armate statunitensi. Dopo quaranta anni si è trasformato per i preadolescenti e gli adolescenti in un sistema sociale, finalizzato al mantenimento delle relazioni on line, importanti quanto quelle off-line (le relazioni quotidiane, faccia a faccia). Recenti ricerche hanno concentrato l’attenzione su quanto la tecnologia dell’informazione influenzi lo sviluppo umano; non a caso è cambiato il modo di esplorare il mondo, di manipolare i simboli e i linguaggi.
Tramite la rete i ragazzi costruiscono relazioni, vivono identità altre, sperimentano i propri confini, e sono considerati i nuovi pionieri della relazione umana. È indubbio che la rete funga anche da mezzo per superare le difficoltà insite in qualsiasi relazione, mi riferisco a quelle “faccia a faccia”, e permette a chi non vive tale complicazione, di essere in tempi brevi se stesso, potenziando così lo spazio conoscitivo della propria persona. Al contrario la rete è anche il luogo in cui inventarsi un’identità immaginata e proiettata all’esterno: il virtuale diventa reale, e il reale virtuale.
Le prime ricerche, a tal proposito, ne evidenziavano l’aspetto pericoloso, in cui il perdere identità nella rete corrispondeva nel non riconoscersi nella vita reale. In realtà, tale mondo virtuale è così connaturato nella nostra vita, da non poter farne a meno. Internet è la nostra realtà, a prescindere cosa ne possiamo pensare, e non a caso si parla di “nativi digitali” (gli under 30) nel differenziarli dagli “emigranti digitali”, cioè di quelli, come chi vi scrive, nati prima della nascita della rete, dei computer e dei cellulari.
Tale differenza non è soltanto terminologica, in realtà con la diffusione dei computer e d’internet, si è segnato un nuovo modo di tessere le relazioni tra le varie generazioni. Prova ne sia che i giovani d’oggi (i “nativi digitali”) contemporaneamente, ascoltano musica, chattano, guardano la tv, scaricano file mp3 e video, inviano sms, s’identificano negli avatar (rappresentazioni digitali di sé), comunicano tramite i social network (facebook, twitter, per citare i più conosciuti), e il tutto con una naturalezza sorprendente.
Le generazioni precedenti tutt’al più, contemporaneamente ascoltavano musica leggendo un fumetto. Ciò aiuta a comprendere quanto i nativi digitali, da un punto di vista cognitivo, utilizzino le conoscenze e le capacità in tanti modi diversi, in multitasking rispetto ai “pre-digitali”; anche se lo svolgere più compiti simultaneamente, corrisponde, secondo le nuove ricerche, a far tutto male, poiché nel nostro cervello, nel computare più informazioni contemporaneamente, si determina un aumento di stress e perdita di capacità di controllo (deprimendo contemporaneamente i processi di formazione della memoria a lungo termine).
I più positivi pensano che le nuove generazioni siano di transizione, ciò significa che l’abilità del multitasking work porterà nel tempo allo sviluppo di nuove intelligenze, ma se tale opportunità non è guidata e direzionata, si aumentano le probabilità che possano diventare fine a se stesse o addirittura autodistruttive. Ovviamente la costruzione delle competenze relazionali e di uno sviluppo dell’identità, in adolescenza, attraverso la rete, non possono essere così metaforicamente prive d’insidie.
A conferma di ciò, basti pensare all’immediata ed enorme quantità d’informazioni cui è possibile accedere senza filtri e censure, lecita e illecita. Su internet s’impara a costruire bombe, scassinare lucchetti e casseforti, acquistare materiale falso (p.e. replay watch) o di dubbia provenienza, acquistare pillole a basso prezzo per migliorare le prestazioni sessuali (cialis, viagra). Il materiale pornografico disponibile nella rete è ben oltre a quello che avremmo immaginato potesse esistere.
Se fino a vent’anni fa il 40% delle video cassette noleggiate era specifico del settore della pornografia – un dato poco conosciuto e sbalorditivo di questo mondo sommerso, di cui il 70% era destinato al mercato degli adulti – oggi, le percentuali dei “fruitori” di video porno sono sicuramente più alte e comprendono una fascia d’età che parte già dalla preadolescenza, dagli undici anni.
Per chi non lo sapesse (e mi riferisco alle persone che ignorano l’uso del computer, oppure a quelli che ne fanno un uso molto specifico) accedere a tale materiale è di una facilità impressionante. Personalmente l’ho appreso dagli adolescenti (così come diversi colleghi psicoterapeuti), ciò a dimostrazione di come essi siano dentro i meccanismi della rete più di noi.
Utilizzando qualsiasi motore di ricerca (p.e. google, mozilla firefox, bing, nch, ecc.), è sufficiente digitare non più di due “parole chiave”, per essere in possesso della più grande collezione di filmati porno amatoriali e non, in streaming, da vedere interamente e gratuitamente. Al massimo si chiede di cliccare su “enter” (entrare) o “leave” (lasciare) dopo aver letto una dichiarazione che recita all’incirca così “You may only enter this Website if you are at least 18 years of age, or at least the age of majority in the jurisdiction where you reside or from which you access this Website. If you do not meet these requirements, then you do not have permission to use the Website”. Facile, no?
Pensare che quanto argomentato possa non riguardare i propri figli non facilita la comprensione di ciò che è in atto, poiché il fenomeno è in crescita esponenziale ed è presente in tutte le case dotate di computer (a variare è soltanto il numero di ore trascorse davanti tali siti). Non dimentichiamo che le informazioni tra i giovanissimi transitano a notevoli velocità, esattamente come la loro capacità di connessione. Provo allora a elencare alcuni dei potenziali “rischi” in cui si possono incorrere nel sottovalutare tale emergenza educativa, dovuta a una fruizione non consapevole e senza confini di materiale pornografico tra i giovani.
Detto in altri termini, ciò che noi adulti abbiamo fino ad adesso considerato estremo della sessualità rischia di divenire il punto di partenza delle nuove generazioni, che auto apprendono, tramite la rete, rendendo quotidiano e naturale ciò che non lo è. Non è da escludere che le pratiche che fino ad oggi sono comprese tra le perversioni sessuali (le parafilie) potrebbero, a breve, non esserlo più.
La minaccia dell’aver fatto attecchire nelle nuove generazioni la poca consapevolezza che una relazione affettiva richieda tempi lunghi e che non può ridursi nel “consumare un rapporto”, è molto alta. Lasciare che la comunità virtuale decida quali modalità e come educare i giovani, è quello che sta accadendo, e venire a capo di questa intricata matassa non è assolutamente facile, perché i primi a ignorare la pericolosità di quanto ipotizzato sono i genitori, illusi che i figli possano esplorare il corpo e le proprie pulsioni (o peggio ignorarle), gradatamente, così come è avvenuto per una buona parte delle generazioni passate.
Credo sia in atto un disastro educativo senza precedenti. In un mondo, come il nostro – culturalmente ricco e stimolante, pieno di bellezza e senso della vita, la cui rete, senza ombra di dubbio, ha contribuito positivamente – abbiamo offerto alle nuove generazioni modelli culturali e un insieme di valori che difficilmente trovano il modo di innestarsi in loro: i modelli, le mode viaggiano alla stessa rapidità con cui i ragazzi stabiliscono relazioni.
I rapporti umani richiedono tempo e notevole attenzione, bruciare il tutto in pochi secondi vuol dire abituarli a costruire rapporti virtuali, veloci e poco profondi. In questo modo tutto rischia di diventare mellifluo e privo di significato. Pertanto cosa occorrerebbe fare. Innanzitutto insistere su una normativa che regolarizzi l’impiego d’internet e l’uso obbligatorio di software che permettano agli adulti di impostare dei filtri, impedendo così l’accesso ai minori ai contenuti pornografici (anche se ormai i ragazzi sono diventati abili nel raggirare i parental control).
È auspicabile la nascita di laptop (portatili) e computer fissi indirizzati a un pubblico minorenne, con divieto di accesso ad altri computer che non siano specifici per la fascia d’età. Nella sostanza si tratta di mettere in atto una procedura simile a quanto già avviene in altri settori, come quello delle automobili e le moto. Da un punto di vista educativo i piani di lavoro dovranno inevitabilmente coinvolgere la famiglia e la scuola.
La prima istituzione andrebbe resa maggiormente consapevole che l’educazione è ancora il veicolo principale che solca i confini tra il lecito e l’illecito, anche per contrastare le dissonanze e le distorsioni di cui la televisione e internet sono volutamente portatori. Mi riferisco a veri e propri programmi di parent training, tramite cui educare gli adulti a essere “i nuovi educatori”, sin dalla scuola dell’infanzia, rendendoli meno insicuri e più forti di come guardare la relazione con il figlio.
L’istituzione scolastica, con il supporto genitoriale, dovrebbe prendere coraggio nell’educare realmente alla sessualità, non sottovalutando le conoscenze, alterate e confuse, dei giovanissimi, e adeguando i programmi anche ai “rischi” in precedenza elencati. In questo caso, viste le tematiche trattate, è necessario che siano proprio i genitori a essere formati a scuola sui nuovi programmi di educazione sessuale, evitando che i figli, nel riportare i contenuti espressi dagli esperti, e nel tentativo di impressionare e manipolare il genitore, possano allarmarlo, e contemporaneamente far indietreggiare l’istituzione scolastica verso una chiusura totale su queste tematiche.
In un’epoca come la nostra, in cui prevalgono il relativismo culturale – tutto è possibile, e tutto è il contrario di tutto – e il sincretismo – il prendere per proprio comodo e all’occorrenza quello che interessa delle religioni, una sorta di supermercato della fede in cui scegliere cosa portare via – individuare e marcare gli argini educativi del “fiume della vita”, aiuta a evitare che nei periodi di eccesso di massificazione dell’informazione, quale l’adolescenza, i ragazzi, privi di direzioni, possano essere trasportati dappertutto perché travolti dall’ ”esondazione del fiume”, e perdersi in quanto privi di punti di ancoraggio. Fortunatamente c’è sempre la speranza che l’uomo, nell’aver generato una cultura in cui hanno ragione di esistere gli strumenti, le tecnologie e le strategie presenti, possa trovare una forma più consona e vicina alla propria esistenza, rimediando l’irrimediabile.
*Vito Giacalone, psicologo psicoterapeuta, docente università di Tor Vergata
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