
ROMA – Gli over 45, anzi ad essere precisi gli over 40, in ufficio sono un peso e non sono considerati un valore aggiunto. Per questo sono letteralmente discriminati e la discriminazione, ha rilevato uno studio della Sda Bocconi, non si basa su nessun presupposto scientifico, è frutto di puro pregiudizio.
Le vitime sono i dipendenti anagraficamente collocati nella vasta terra di mezzo che c’è fra la faticosa rincorsa all’assunzione che si fa ormai fino alle soglie dei 40 anni e la faticosa rincorsa alla pensione che scatta dopo i 60 anni.
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Giornali e televisioni si occupano di precari o esodati, ma a dimenticarsi degli over 40 non sono solo i mass media ma soprattutto le aziende, che, secondo uno studio dell’Osservatorio Diversity Management Lab dell’Università Bocconi citato da Giuliana De Vivo de Il Giornale. Le aziende
“tendono a valorizzare molto poÂco i loro dipendenti che hanno superato quella soglia. Anzi, spesso li discriminano. Al netto degli scatti di carriera automatici, per esempio, i balzi in avanti, a parità di inquadraÂmento, sono molto più frequenÂti tra chi non supera i 38 anni. I dipendenti fino a quell’età riceÂvono anche, in media, valutaÂzioni di 14 punti percentuali suÂperiori rispetto a quelle degli over 45. Superati i 40, invece, la parabola è discendente. L’uffiÂcio del personale li considera quasi come un peso, restare coÂsì a lungo nella stessa realtà imÂprenditoriale, invecchiare denÂtro lo stesso ufficio è una nota di demerito. È finita l’epoca in cui si raccontava orgogliosi di aver vissuto«una vita al servizio delÂl’azienda »: oggi, complice un mondo del lavoro sempre più flessibile e dinamico, si tende a pensare che chi resta vita natuÂral durante nello stesso posto lo fa perché non ha ricevuto offerÂte migliori.
La discriminazione, fa notare lo studio della Sda Bocconi, non si fonda su dati scientifici: non che ci fosse bisogno di un test per capirlo, ma su un camÂpionÂe di mille lavoratori non soÂno state rilevate significative difÂferenze di efficienza tra 30enni e 45enni. Non c’è nessun decliÂno cognitivo prima dei 60 anni, e in ogni caso questo non si maÂnifesta con forme significative prima dei 74. Tradotto: chi ha qualche capello grigio possieÂde energia da vendere, e un baÂgaglio prezioso di esperienza da impiegare – magari trasmetÂtendola ai nuovi arrivati”.
In pratica nell’era della flessibilità non conta più la fedeltà all’azienda. Dopo un tot di anni passati nello stesso ambiente lavorativo, non si diventa delle “bandiere” ma delle zavorre. La nuova faglia della discriminazione in azienda quindi si sta spostando dalla razza e dal sesso all’età .
“lo conferÂma anche Giuseppe Zaffarano, presidente dell’associazione laÂvoro over 40: «C’è molta sfiduÂcia nei confronti dei datori di laÂvoro,e delusione per prospettiÂve di carriera non realizzate. La sensazione dominante è la pauÂra per il futuro: in un momento in cui sono tante le aziende che vengono comprate da gruppi esteri, anche chi è assunto teÂme delocalizzazioni. E già dai 45 anni in poi gli uffici del persoÂnale, specie in questi tempi di magra, guardano al dipendenÂte oÂver 45 come a un futuro preÂpensionato, uno da far “scivolaÂre“ fuori»”.
