L’istituzione, la London School of Economics, è tra le più prestigiose del mondo britannico, con quasi 120 anni di storia. Tra i suoi alunni e professori ci sono stati lord, teste coronate (Margrethe di Danimarca), futuri economisti di fama, personalità destinate a guidare Stati e governi (tra cui Romano Prodi). Ma oggi a far rumore è una donna dal curriculum meno pesante: Helen Reece, assistente che insegna diritto di famiglia. E autrice, oltre che di diversi libri, anche di un rapporto che lancia una provocazione: permettere anche ai colpevoli di reati sessuali di lavorare con i bambini. E persino di averli in affidamento o adottarli.
Oggi, nel Regno Unito i sex offenders, come sono chiamati in inglese, non hanno questo diritto. Il bando è stato introdotto nel 2006, dopo che un bidello, Ian Huntley, uccise due bambine. Ma divieti di adozione sono stati recentemente revocati, ad esempio, per quanto riguarda le coppie di fatto. Se per queste vale il principio della valutazione caso per caso, sostiene Reece, lo stesso dovrebbe essere vero per i pregiudicati. La categoria dei reati sessuali, ha dichiarato la donna, intervistata da Bbc Radio, “si è espansa negli ultimi 10 anni. Non stiamo parlando del mostro a cui tutti pensano immediatamente”. Ed ha portato, nel suo scritto e durante la diretta radiofonica, l’esempio di un uomo condannato quando aveva 29 anni per una relazione illecita con una quindicenne. Ma che ora è padre e nonno. E non ha ottenuto l’affidamento della nipote.
L’esempio-limite non ha però convinto Chris Cloke, della National Society for the Prevention of Cruelty to Children, ong britannica che si occupa di diritti dei minori. «È una proposta incredibile –ha scandito durante il programma radio- e siamo convinti che la sicurezza dei bambini debba essere la prima preoccupazione». Ricordando come quella da sesso sia una vera e propria dipendenza, che porta a “comportamenti compulsivi”. E visto che molti abusi avvengono in segreto questo è “un rischio troppo grande da correre”. E l’autrice del rapporto ha dovuto affrontare anche un’altra polemica, quella sul paragone con le coppie di fatto. Il parallelo con le conseguenze rischiose di una rottura della convivenza non ha convinto molti, né lo ha fatto l’invito a “dare una seconda possibilità” a chi già è stato condannato. O quello a “non discrminare nessuno, trattando le persone come persone”. I diritti che contano, ha ribattuto Cloke, sono “quelli del bambino”.
Nello scontro è intervenuto anche il governo: il ministero degli Interni ha fatto notare che ogni decisione sull’argomento deve essere “proporzionata” e “passare il test del senso comune”. E di fronte alle domande della Bbc, la stessa ricercatrice della Lse ha ammesso che potrebbe, dopo averne valutato la personalità, affidare i suoi figli ad un pregiudicato, ma che sarebbe ugualmente “preoccupata”.
*Scuola di giornalismo Luiss
