Spagna, l’arte del mentire fa perdere tempo, energia e memoria

«Gli uomini sono sempre sinceri. Cambiano sincerità, ecco tutto». Questa affermazione di Tristan Bernard è confermata da un lungo articolo che il quotidiano spagnolo El País ha dedicato all’arte del mentire. Se qualcuno, con grande entusiasmo, vi regalasse per il compleanno un pastore tedesco di porcellana a grandezza naturale, come vi comportereste? La reazione più probabile sarebbe un “grazie” corredato da un sorriso forzato, rimandando solo di qualche ora la decisione di come disfarsene: buttarlo nella spazzatura o prenderlo a martellate?

A un cortese «come va?» detto in ascensore nessuno di voi risponderebbe che è molto depresso perché sta per divorziare, nonostante sia la verità. Pura socializzazione. Come ha sintetizzato perfettamente Mark Twain nel suo sarcastico “Come raccontare una storia e l’arte di mentire”: «Nessuno potrebbe vivere con qualcuno che dicesse sempre la verità: per fortuna, nessuno di noi ha mai dovuto farlo». Nel suo libro postumo “Conductas y actitudes”, lo psichiatra Carlos Castilla del Pino sostiene che la vita sociale esige l’abbellimento, alla nostra maniera, della nostra immagine agli occhi degli altri. È stato provato, a tal proposito, che nella prima conversazione di dieci minuti con uno sconosciuto mentiamo dalle due alle tre volte.

Un esempio eccellente: lo scorso 9 novembre, in occasione del ventennale della caduta del muro di Berlino, Nicolas Sarkozy ha raccontato, sulla sua bacheca di Facebook, le emozioni che provò quello stesso giorno di vent’anni prima assistendo alla riunificazione delle due Germanie. Libération e Le Figaro hanno scoperto che il Presidente francese era sì a Berlino, ma una settimana dopo il crollo del muro. Bugia o vuoto di memoria?

Ci sono menzogne, invece, che crescono troppo fino a raggiungere l’altro estremo della falsità, l’inganno. Esemplare il caso di Enric Marco, un uomo che per trent’anni ha finto di essere un sopravvissuto al campo di concentramento nazista di Flossenbürg, partecipando a centinaia di conferenze e ricevendo uno dei riconoscimenti più prestigiosi della Generalità catalana. Quando è stato smascherato, l’uomo si è giustificato dicendo che non l’ha fatto “per cattiveria” ma perché quando iniziò a raccontare questa storia la gente gli dava “più ascolto”.

Che cosa c’è dietro un impostore? «Un’insoddisfazione riguardo la propria personalità, che si tende a compensare in maniera simbolica. All’inizio c’è una ricompensa immediata, si cerca qualcosa che impressioni gli altri in un ambito marginale. Ma col passare del tempo è sempre più difficile essere convincenti e si perde il controllo», spiega Miguel Catalán, professore di Etica della comunicazione all’Università Cardenal Herrera-Ceu di Valencia.

Una bugia ne esige molte altre. Quanta più gente è coinvolta, tanto più è rischioso per l’impostore. Ma per molti non è un problema: per alcuni la realtà è solo un ostacolo che può essere modificato, altri la ignorano totalmente, improvvisando nuove versioni. Come Alicia Esteve Head, presunta figlia di diplomatici che per anni ha raccontato in lacrime di come, al contrario di suo marito, è riuscita a scampare alla tragedia dell’11 settembre, arrivando persino a presiedere l’associazione delle vittime del World Trade Center. Tutto falso.

Dire bugie è quasi sempre una scelta. Portare questo meccanismo all’estremo può spiegare in parte il persistere della falsità fino a che diventa impossibile riconoscere la bugia dalla verità. Ma, come spiega il professore di Fisiologia dell’Università Complutense di Madrid, «c’è gente capace di ricordare fatti che non sono mai accaduti, soprattutto rispetto all’infanzia».

*Scuola di giornalismo Luiss

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Sandro