Gli hanno messo un vestitino nuovo e gli hanno tolto i tubi attaccati al volto, quei tubi che portava da tredici mesi, da quando era nato. Racconta la madre, una ragazza inglese sotto i 30 anni: “Lo stavo coccolando, è stata una sensazione incredibile vederlo senza tubi sul viso, vedere il suo volto dopo tanto tempo, gli ho detto che l’amavo”. E l’ultima cosa che quella madre ha detto a quel bimbo: senza quei tubi non ha più respirato. E senza quei tubi non avrebbe mai respirato, prima e dopo dei suoi tredici mesi. Era nato con i muscoli non in grado di muovere e sostenere né arti, né polmoni e bronchi né articolazioni. Era nato così “Baby R.B.”, il nome non c’è per rispetto.
Ma c’è la sua storia, la storia vera sua e dei suoi genitori che non si può leggere senza un groppo in gola. Il suo corpo non poteva sopravvivere da solo, neanche respirare appunto. Ma il suo cervello funzionava. Il padre voleva fosse tentato tutto, anche ciò che i medici avevano dichiarato impossibile. La madre voleva porre fine al calvario del bambino. Un drammatico dissidio che era finito in Tribunale, con i giudici inglesi chiamati ad emettere la più difficile delle sentenze. Prima che potessero farlo, il padre si è arreso, ha cambiato idea. La madre ha detto: “Avremmo potuto interrompere quando aveva quattro settimane, non l’abbiamo fatto e abbiamo combattuto per lui. Ho apprezzato ogni minuto e ogni secondo che ho avuto accanto mio figlio”. Anche quell’ultimo minuto, quell’ultimo secondo, quella vita che naturalmente senza i tubi artificiali ineluttabilmente se ne andava. Quei polmoni che non potevano, quel cervello di bimbo che avrà potuto sentire e a suo modo capire l’ultima coccola.
