NEW YORK, STATI UNITI – Leggendo le frasi ‘postate’ dai giovani su Facebook e’ possibile avere un immagine piu’ chiara del loro disagio esistenziale. E perfino percepire quando la situazione si sta facendo piu’ grave, in modo da intervenire ponendo un freno al rischio di suicidi giovanili. Lo sostiene un articolo in prima pagina del New York Times, dal titolo ”Cercando un pianto di disperazione nella narrazione di facebook”.
In America, come in tutto il mondo, Facebook e’ il luogo in cui milioni di adolescenti confidano le proprie paure, rivelano i propri scatti di umore, ma anche i momenti piu’ bui. Sinora la comunita’ scientifica aveva in qualche modo criticato questo tipo di autocoscienza on-line. E in America e’ spuntata perfino una campagna, con tanto di t-shirt, che metteva in dubbio le potenzialita’ terapeutiche dei social-network. Lo slogan era chiarissimo: ”Face your problem, don’t Facebook them”, come dire ‘affronta i tuoi problemi, non metterli su Facebook’.
Ora pero, come segnala questo articolo, gli specialisti di salute mentale giovanile hanno cominciato a cambiare idea, utilizzando Facebook e le sue potenzialita’ per rintracciare i primi segni di un disagio che se trascurati possono portare a gravissime tragedie. Ovviamente tutto cio’ apre un dibattito enorme: e’ sempre difficile distinguere i classici sfoghi un po’ melodrammatici tipici dell’adolescenza da sintomi di problemi reali. Quante volte un ragazzo o una ragazza possono ‘postare’ frasi del tipo ‘Oggi ho solo voglia di morire’, magari per una delusione amorosa. E poi il giorno dopo tornare allegri e pimpanti.
Ma e’ anche vero che una percentuale sempre crescente di ragazzi che poi realmente compiono suicidi, poco prima di ammazzarsi lasciano tracce tangibili proprio su Facebook. Da anni l’azienda di Zuckerberg ha cominciato a collaborare con la National Suicide Prevention Lifeline, un’organizzazione no-profit che cerca di intervenire per salvare vite in extremis. Se un lettore riceve o legge un ‘post’ con su scritta una parola legata al concetto di suicidio, può allertare il Social Network che a sua volta fa le sue verifiche. E che, se necessario, manda un messaggio all’associazione che puo’ attivarsi per cercare di contattare la persona a rischio. Ma puo’ essere utile anche nel semplice monitoraggio delle condizioni psichiche di un certo ambiente.
E’ capitato che un dirigente di un’universita’ abbia deciso di accettare l’amicizia di una cinquantina di ‘freshmen’, di matricole. In questo modo ha scoperto che alcuni di loro avevano gravi problemi di alcol e tanti altri esprimevano un certo disagio e una grave nostalgia di casa. Dopo averli incontrati di persona e’ riuscito a migliorare le loro condizioni.
Ma c’e’ chi anche esclude questo tipo di intervento: ”Andando avanti cosi’ – si lamenta Megan Moreno, docente di pedagogia all’Universita’ del Wisconsin- le universita’ dovrebbero assumere personale specializzato con il compito di seguire Facebook tutto il giorno. E questo non e’ possibile”. C’e’ anche chi fa notare un problema di carattere etico, visto che bisogna distinguere il rapporto professore-studente, da quello tra ‘amici’ su Facebook o perfino paziente-terapista.
Per non parlare dei problemi di privacy: una cosa sono le conversazioni riservate all’interno di uno studio di uno psicanalista, ben altro gli scambi di idee che avvengono sui social network. Quello che e’ certo e’ che l’irruzione nella vita quotidiana della comunicazione online, spesso al posto di quella interpersonale, pone al centro grandi pericoli, ma anche grandi potenzialita’.