Il figlio del fotografo Walter Frentz racconta: “Mio padre era l’occhio di Hitler”

Walter Frentz è stato un fotografo, produttore cinematografico e cameraman tedesco che ebbe un ruolo di primo piano nella realizzazione di film di propaganda in epoca nazista.

Durante il periodo del regime nazista lavorò prima come cameraman per la regista Leni Riefenstahl e in seguito, dal 1939 al 1945 fu incaricato di fotografare e filmare le attività dei più alti gradi del regime, tra cui Adolf Hitler. Fu tra gli ultimi ad abbandonare il Führerbunker poco prima che l’Armata Rossa conquistasse Berlino. È scomparso nel 2004 all’età di 97 anni.

Il figlio Hanns-Peter Frentz in un’intervista rilasciata al Sole 24 Ore del marzo del 2009 racconta: «Mio papà era l’occhio di Hitler». Hanns-Peter convinse sul letto di morte il padre a riguardare alcuni di questi dossier. Poi, dopo la scomparsa, decise di aprire l’intero archivio agli storici da cui è anche nato un libro in cui è stata racchiusa l’opera del fotografo tedesco.

«Per capire chi fosse Walter Frentz, o chi credevo fosse – racconta Hanns-Peter Frentz, 56 anni, studioso di economia e di induismo, oggi responsabile di un portale che riunisce i più grandi musei d’arte del mondo, il Bildportal der Kunstmuseen – non dobbiamo partire dall’ascesa del nazismo che mio padre ha fotografato nel film di Leni Riefenstahl, “Il Trionfo della Volon­tà” nel 1934. Dobbiamo iniziare dagli anni Sessanta, da quei tempi di pace e di silenzio assoluto. Mio padre, dopo la guerra, girava documentari e su incarico delle principali istituzioni tedesche aveva realizzato una serie di film sulle città d’arte europee. Walter Frentz, l’uomo che conoscevo e amavo, e che mi ha sempre amato, era un regista coltissimo che parlava di architettura e di musica. Del suo passato sapevo solo che a ventisei anni era stato a New York, per riprendere l’attra versata del transatlantico Hamburg e che nel 1936 aveva firmato la fotografia di Olympia, il film della Riefenstahl, premiato all’Expo di Parigi».

Il passato, dalle riunioni al Berghof al massacro di Minsk, da un compleanno nella Tana del Lupo, il Quartiere generale nella Prussia Orientale, alla fuga dal bunker di Berli no, tutto ciò giaceva tranquillamente nel fondo della memoria e al di là di una sempli ce porta a vetri. Ma un giorno, una voce che nessuno aveva mai più ascoltato da anni ruppe i sigilli.

«Ero al liceo e dopo il ’68 an che in Germania, finalmente, si ricomincia va a parlare di nazismo. I figli volevano sapere che cosa avevano fatto i genitori. Il profes sore di storia decise allora di farci ascoltare un discorso di Joseph Goebbels. A un tratto il ministro della Propaganda del Terzo Rei ch pronunciò il nome di Leni Riefenstahl. Fu un momento terribile e cominciai a pre gare, disperato, che da quella bocca, davanti ai miei compagni, non uscisse anche il no me di mio padre».

Non uscì, ma il tempo dell’innocenza era finito. La certezza arriva qualche anno dopo, «eppure prima di allo ra, prima di puntargli il dito contro, abbia mo viaggiato ancora tanto insieme. Nei pri mi anni Settanta siamo andati a Mosca. Se gli avessi chiesto se c’era mai stato prima, mi avrebbe risposto di sì, nel ’39, per filmare il patto Ribbentrop-Molotov. Ma per chiedere bisogna sapere. E quando ormai, un’allusione dietro l’altra, la verità è venuta fuori – sì, ero il fotografo di Hitler – gli ho chiesto solo di confessare la sua complicità. Sei col­pevole anche tu, hai lavorato per quegli assassini, come facevi a non sapere? Di fronte alle accuse, mio padre, come Leni Riefenstahl ha sempre risposto nello stesso modo, negando ogni responsabilità. Inutile parlargli del ruolo della propaganda e di come quelle immagini, alcune così scandalosa mente belle, avessero manipolato l’opinio ne di milioni di persone».

«Io sono un artista – diceva – io non ho fatto la storia, io ho solo riprodotto la storia fatta da altri».

Ecco alcune foto dell’immenso archivio del fotografo personale di Hitler – formato da oltre ventimila immagini – che raffigurano la vita privata e alcuni degli incontri che Hitler ebbe durante il Terzo Reich:

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Lorenzo Briotti