Mentre l’Italia firmava le leggi contro gli ebrei era all’apice della sua carriera fra stadi e panchine. Era il 1938 e, mentre il fascismo varava le sue direttive razziali, lui faceva esultare spalti e tifosi.
Ha visto morire la moglie e i due figli sotto le torture e le vessazioni naziste, si è spento in uno dei campi di sterminio tristemente più noti. Weisz, ungherese di nascita e un po’ italiano d’azione, è stato un pezzo di storia del nostro pallone. Ha giocato nell’Inter, nel Padova, nella nazionale ungherese. Poi si è messo a scoprire talenti del calibro di Giuseppe Meazza.
Di scudetti ne ha vinti tre: uno con l’Inter nel 1929-30, due con il Bologna nel 1935-36 e 1936-37. Grazie a lui la società arrivò a vincere a Parigi la Coppa dell’Esposizione, una sorta di Coppa dei Campioni del 1937. Allora di lui si dimenticarono in fretta: era ebreo, doveva andarsene. Oggi nessuno è stato capace di ricordarlo: non l’Inter, non il Bologna, non il calcio italiano, non c’è stato nemmeno un minuto di silenzio in sua memoria.