
IMOLA (BOLOGNA) – “Bastava un palmo più a destra e Ayrton Senna non sarebbe morto”: la dottoressa Maria Teresa Fiandri ripercorre le ultime ore del campione brasiliano di Formula Uno, a 20 anni di distanza dall’incidente mortale sul circuito di Imola. La Fiandri tentò fino all’ultimo di salvare la vita di Senna, e intervistata dal quotidiano Libero rivive quei momenti drammatici. Il ricordo di quel giorno crea in lei ancora “molta emozione”. Anche in punto di morte Senna appariva incredibilmente “bello e sereno”. “Bastava un palmo più a destra” e forse si sarebbe salvato”.
Erano le 18.40 del 1˚maggio 1994 quando la dottoressa Fiandri, Primario del reparto di Rianimazione dell’Ospedale Maggiore di Bologna, annunciò al mondo in diretta tv che il pilota non era sopravvissuto al tragico incidente avvenuto qualche ora prima nel circuito di Imola durante il Gran Premio di San Marino.
Quel giorno Senna aveva iniziato in testa il suo 7° giro di corsa, poi alle 14.17 il piantone dello sterzo della Williams su cui correva a 240 km/h uscì di pista alla curva del Tamburello. L’auto, fuori controllo, si schiantò contro il muretto. La sospensione destra della Williams si staccò, portando con sé la gomma che lo colpì in testa, mentre la parte del braccetto trafisse il casco, ferendolo. Poi l’inutile corsa all’ospedale di Bologna. Ma ormai era troppo tardi. Senna morì a soli 34 anni.
Maria Teresa Fiandri era il medico di turno reperibile quella domenica. Capì subito la gravità della situazione, recandosi immediatamente nella struttura sanitaria. “Mi sono cambiata e sono saltata in macchina. Non ho neppure aspettato che mi chiamassero, il bip del cercapersone è suonato quando ero già per strada. Sono arrivata al Maggiore contemporaneamente all’elicottero”, afferma Fiandri nell’intervista. Purtroppo il risultato della tac di Senna era chiaro: “Le lesioni erano enormi e inoperabili. Il cervello era così danneggiato…”.
La donna ricorda il momento dell’annuncio della morte di Senna davanti ai microfoni e alle telecamere. Era impossibile ufficializzare la morte di Senna fino al definitivo arresto cardiaco, così come prevedeva all’epoca la legge italiana. “Finché non si è fermato il cuore, noi non potevamo constatare il decesso”, spiega a Libero la dottoressa, alla quale toccò il difficile compito di gestire una situazione che non seguiva “nessuna tabella di marcia”, se non le reali condizioni del paziente.
In seguito alle indagini effettuate e al processo seguito all’incidente è emerso che nei due secondi fra la rottura del piantone dello sterzo e lo schianto Senna non rimase impassibile: frenò e scalò le marce, riuscendo a decelerare a 211 km/h. Probabilmente furono proprio l’impatto con la gomma e la penetrazione del braccetto nella visiera ad essergli fatali.
“Non so se sia stato il colpo diretto o il contraccolpo a causare più danni”, commenta la dottoressa. “Il braccetto aveva causato un taglio profondo, era la cosa che si notava subito”.
Il resto del corpo di Ayrton era integro, non c’erano ulteriori lesioni importanti.
“Ayrton ha avuto un’incredibile sfortuna”, continua Fiandri. “Bastava un palmo più a destra: non posso dire che non sarebbe successo nulla, ma certamente altri danni significativi sul corpo non ce n’erano”.
Difficile accettare l’ipotesi che si trattò di pura sfortuna. Quella domenica in autodromo il clima era piuttosto pesante: il giorno precedente, nello stesso circuito aveva perso la vita il pilota Roland Ratzenberger, schiantandosi a 306 km/h contro il muro della curva Villeneuve. Senna non si sentiva sereno. Dopo il warm up del mattino, contattò vari colleghi, da Berger a Schumacher, da Alboreto a Larini, perché avrebbe voluto organizzare una riunione di piloti in vista della successiva gara di Monaco, in cui parlare di sicurezza sulle piste. Ma quell’incontro, come sappiamo, non avvenne mai.