Calcio. Moviola: arbitri ostili. Ma 6 sono troppi, torniamo a 3

Si discetta e ci si accapiglia sulla moviola in campo – parliamo di calcio – e canonicamente, sull’onda delle polemiche per l’ultimo pasticcio arbitrale – il gol regolare negato al Catania contro la Juventus – ci si schiera a prescindere, sotto le rispettive bandiere. Pessimo metodo per sbrogliare una matassa ormai ineludibile, se davvero si ha a cuore la credibilità dello sport nazionale degli italiani – nonché settima industria per fatturato – o quel che ne resta dopo l’orrendo stillicidio di vergogne assortite (scandalo passaporti, fideiussioni fasulle, bilanci taroccati e soprattutto l’immarcescibile, ciclico calcioscommesse) che lo hanno crivellato. Colandolo a picco.

Proviamo a ragionare a cervello freddo, allargando lo spettro dei ragionamenti. Partiamo dall’ultima novità – gli arbitri di linea – frettolosamente introdotti in Italia nonostante altri (Premier League, Bundesliga) si fossero ben guardate dall’abboccare al facile boccone propagandistico.

Consumato circa un quarto del campionato di serie A, l’esperimento può già giudicarsi fallito. Introdotti per assistere l’arbitro centrale esclusivamente nella valutazione del gol-non gol, i collaboratori supplementari si sono fulmineamente allargati, mettendo il naso in valutazioni non di loro competenza. Falli da rigore, colpi proibiti e, in ultimo, a Catania, addirittura il fuorigioco.

Nicola Rizzoli, internazionale per me eccessivamente celebrato e sponsorizzato, ha indotto in errore il guardalinee Maggiani che in un primo tempo aveva segnalato che l’azione era regolare, indicendo l’arbitro centrale, Gervasoni, a convalidare il gol. Aggravante nella gravità della topica, la sceneggiata della panchina bianconera che è insorta come un sol uomo, “costringendo” Maggiani ad interpellare Rizzoli.

Insomma, il caos. Avanti così, ogni azione contestata aprirà la strada a stucchevoli conferenze e interminabili discussioni in campo, con tanti saluti alla tempestività e all’uniformità di giudizio. Perché è chiaro che se l’arbitro è inappellabile nelle proprie decisioni, deve essere in grado di assumerle in prima persona, senza essere costretto a convocare estemporanee assemblee con i suoi peraltro troppo numerosi collaboratori. Ormai siamo a quota sei, la vecchia terna arbitrale appare un simpatico reperto archeologico.

Se le cose stanno così – e stanno così – allora tanto vale rivolgersi ad un giudice neutro di estrema istanza al quale delegare la decisione ultima e inappellabile. E quel giudice non può essere che la moviola. Neutro, tecnicamente indiscutibile, assolutamente non sospettabile di parzialità o di cedimenti politici verso le Grandi. Quella sudditanza psicologica che non è un fantasma, ma l’ovvia conseguenza della coscienza degli arbitri che se danneggi una delle grandi, televisioni e giornali ti massacrano e addio carriera.

Sbagliato ma umano. La moviola o strumenti analoghi sono largamente impiegati in altre discipline sportive (rugby, volley, tennis) con risultati confortanti. Perché allora il calcio non si adegua? Perche Joseph Blatter, ma anche Michel Platini, per non dire del presidente del Coni, Gianni Petrucci e della Federcalcio, Giancarlo Abete, sono tenacemente ostili ad introdurre la moviola in campo?

Perché uno strumento neutro, che non risente del margine di errore umano (che viene, giustamente, invocato a discarica delle manchevolezze arbitrali) sottrarrebbe potere: agli arbitri, anzitutto, gelosissimi delle proprie prerogative, che ne fanno dei signori assoluti sul rettangolo di gioco (e anche nelle sue propaggini, spogliatoi compresi). Quel che vede o non vede l’arbitro è legge. Inappellabile.

Con un’unica eccezione che è rimasta appunto tale. La prova televisiva, ammessa per sanzionare azioni scorrette (pugni, gomitate, calcioni) sfuggite all’attenzione del direttore di gara. E’un’apertura significativa, purtroppo rimasta orfana. In nessun altro caso il referto arbitrale può essere messo in discussione.

L’arbitro è, appunto, un dominus assoluto. Ha visto quel che ha visto (o non ha visto) e non si discute.

La moviola incrinerebbe questo status assoluto, aprendo la strada all’intervento di uno strumento esterno, seppure manovrato da un essere umano che potrebbe e dovrebbe proprio un arbitro. E la cosa al Palazzo non piace. Perché il Palazzo vuol tenere tutto e tutti sotto controllo.

Altra domanda. Perché non si ricorre al tempo reale, come nel basket, espediente che cancellerebbe tutte le manfrine, le sceneggiate dei finti infortuni, delle uscite dal campo al rallentatore, delle perdite di tempo del portiere? La risposta è semplice: il tempo reale sottrarrebbe agli arbitri la discrezionalità del decidere i tempi dei recuperi. Un altro segno del loro potere. La necessità della contemporaneità delle varie gare è una balla. Tra anticipi e posticipi, trascinati fino alla terz’ultima giornata del campionato, la contemporaneità non esiste più da un pezzo.

La decisione sui cambiamenti del regolamento – che è uguale per tutti e in tutti in Paesi, ed è stata questa una delle forze del calcio: valgono le stesse 17 regole tanto sul campetto di periferie quanto al Maracanà di Rio – è affidata ad un sinedrio di parrucconi che, a giudicare dai ritocchi apportati negli ultimi anni (fallo da ultimo uomo, chiara occasione da gol, ecc ecc), non hanno mai tirato un calcio al pallone.

Prendiamo la regola che impone l’espulsione del portiere responsabile di un fallo punito col calcio di rigore. Su una chiara occasione da gol (ci risiamo: ognuno può valutare a modo suo, quindi addio uniformità di giudizio) le regola impone l’espulsione del portiere. Risultato: la squadra che subisce il rigore, rimane in dieci uomini e perde il portiere nella partita successiva. Un accanimento inaccettabile, che non piace a nessuno. Ma tant’è. La regola è questa e non si cambia.

Volendo, l’unico organismo delegato a ritoccare il regolamento si chiama Ifab (International Footbal Association Board), fa parte della Fifa, la federazione calcistica internazionale, e si riunisce con regolarità a rotazione nei quattro Paesi anglosassoni. E dopo infinite chiacchiere prende decisioni col contagocce, quando le prende. Nell’Ifab sono infatti rappresentate le quattro federazioni primigenie (Inghilterra, Galles, Scozia, Irlanda del Nord).

Non precisamente l’avanguardia del movimento, ai giorni nostri. E gli arbitri, ossia coloro che dovranno applicare le regole, non hanno voce in capitolo. Una assurdità. Il sinedrio dell’Ifab è custode delle regole, fissate nel lontano 1863 e ritoccate qua e là (vedi fuorigioco da tre a due) in genere con buonsenso nel corso di oltre un secolo.

Le innovazioni risalgono appunto agli ultimi due decenni e il risultato è sotto gli occhi di tutti. Gli errori arbitrali sono aumentati in maniera esponenziale. E’ chiaro che i parrucconi dell’Ifab invariabilmente decidono in linea con i desiderata dei padroni del vapore.

E il padrone numero Uno del pallone mondiale è l’ex colonnello dell’esercito svizzero Joseph Blatter alla guida prima dell’Uefa e poi della Fifa. La sua gestione ha provocato pericolosi strappi nell’equilibrio del gioco. Alla ricerca della spettacolarizzazione estrema, Blatter ha introdotto novità regolamentari che alla prova dei fatti si sono risolte in complicazioni per gli arbitri, chiamati a decidere, in una frazione di secondo, fra tre o quattro variabili. Era o no una chiara occasione da gol? Era o no fallo da ultimo uomo?

Ampliando il ventaglio delle ipotesi, si allarga la discrezionalità dell’arbitro, ergo la possibilità che prenda la decisione sbagliata. Perché va detto: arbitrare è diventato sempre più difficile, anche per via della velocità di un calcio sempre più atletico e muscolare. E per l’inveterata abitudine dei calciatori, in Italia almeno, di tentare di fregare l’arbitro.

Occorre dunque semplificare la vita agli arbitri e tornare alle 17 regole di base. Cancellando tutti i fronzoli. E lasciando alla saggezza e all’esperienza dei fischietti di valutare e decidere nei singoli episodi. Senza assurdi ed estemporanei assemblearismi.

Un arbitro e due guardalinee bastano e avanzano. Anche il quarto uomo è superfluo, visto che il suo compito si limita a sorvegliare i cambi e, eventualmente, fare la spia sulle intemperanze delle panchine. Pretendere di codificare tutto nei minimi particolari è puro masochismo.

 

 

Published by
Marco Benedetto