As Roma, dall’interrogazione parlamentare al Delaware: tutti i dubbi su “zio” Tom DiBenedetto

Thomas DiBenedetto (Foto LaPresse)

ROMA – L’unica certezza, per ora, è quella che non c’è la firma. E quindi, Thomas DiBenedetto non è ancora proprietario della Roma. Certo, almeno sulla carta, l’accordo è scritto e mancano alcuni passaggi tecnici. Tutto sulla base di un comunicato congiunto che prima parla di intesa e poi accenna a garanzie ancora da produrre.  Fatale, quindi, che su DiBenedetto si moltiplichino dubbi e domande e, a un certo punto, esca fuori addirittura l’interrogazione parlamentare.  La presenta un deputato dell’Idv, Lannutti, utilizzando un articolo (datato) del Sole 24 Ore in cui DiBenedetto è definito sostanzialmente uno “sconosciuto”.

Altri dubbi arrivano dal quotidiano “La Stampa” e da un pezzo firmato da Guglielmo Buccheri che Dagospia pubblica intergralmente. DiBenedetto, da Dago, si è già guadagnato un soprannome “Zio Tom” prima ancora di aver messo le mani sulla squadra.

Buccheri parte dalla domanda delle domande, ovvero perché, dopo mesi di trattativa e due giorni chiusi in uno studio legale a Roma, non ci sia ancora la firma. La risposta, parziale, arriva dallo stesso giornalista: “Bisogna riscrivere gli accordi perché a cambiare è la natura giuridica della Newco, ora italiana e partecipata dagli americani al 60 per cento e da Unicredit al 40. Per farlo servono passaggi obbligati e non brevi, ma, soprattutto, nuove garanzie, o almeno la conferma da parte dei rappresentanti la cordata Usa delle precedenti, compresi, però, gli impegni per assicurare alla Roma un futuro da protagonista in Europa”.

Significa, per la Stampa, che si dovrà richiamare anche i tre soci di DiBenedetto: Michael Ruane, James Pallotta e Richard D’Amore. Quelli che Buccheri definisce oggetti misteriosi. Certo, il fatto che loro vivano e lavorino negli Usa non rende facile capire chi siano. Da qui a definirgli degli sconosciuti, però, ce ne corre.

Altra cosa finita nel calderone delle domande (e dei sospetti) sullo “zio Tom” è il fatto che la società con cui ha intenzione di comprare la Roma si trovi nel Delaware, piccolo Stato Usa, caratterizzato da un regime fiscale particolarmente favorevole per le aziende e regole sulla trasparenza più blande rispetto ad altri Stati americani.  Molto diretto Buccheri: “E’ il secondo stato più piccolo degli Usa, dove è impossibile entrare in possesso dei nomi dei soci e della natura dei loro investimenti perché paradiso fiscale, seppur non iscritto alla black-list”. E la questione “Delaware” finisce anche nell’interrogazione parlamentare di cui sopra.

Tutti dubbi legittimi, per carità. Però bisogna dirla tutta. Cosa hanno in comune società come Google, Coca Cola, MacDonald’s e Bank of America? Sono tutte registrate nel Delaware, la stessa cosa che ha fatto DiBenedetto. Interrogativi, insomma, è giusto farlo. Cercare il “marcio” a tutti i costi, però, è forse eccessivo.

Infine la questione Uefa, sollevata dal Guardian due giorni fa.  Secondo il giornale inglese DiBenedetto sarebbe in conflitto di interessi perché possiede quote della società che controlla il Liverpool, cosa non ammessa dalle regole Uefa. Scrive Buccheri: “Si può possedere contemporaneamente due club di calcio in Europa? DiBenedetto, una volta alla guida della Roma, si troverebbe in una posizione di conflitto di interesse perché le norme Uefa spiegano come ai singoli sia vietato un coinvolgimento in più di una squadra «a livello manageriale, amministrativo e sportivo in qualità di azionista». E quindi sarebbero i giallorossi a rischiare l’esclusione dalla coppe in quanto meno «nobili» dei Reds nel ranking Uefa”.

Anche qui, qualche precisazione è d’obbligo. Innanzitutto i legali di DiBenedetto, come riporta anche la Stampa, smentiscono il conflitto. Non solo: se la Uefa dovesse avere da eccepire allo “zio Tom” basterà dismettere le quote della società che controlla il Liverpool. Se poi, per assurdo, si dovesse arrivare all’esclusione di una delle due squadre (Roma e Liverpool) dalle coppe europee non è affatto detto che debbano essere i giallorossi a rimanere fuori. Conta, è vero, il ranking Uefa. Ma prima di questo contano la competizione (se una delle due squadre guadagna la Champions e l’altra l’Europa League è sospesa quella iscritta alla competizione meno importante) e la posizione finale nel proprio campionato.

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Emiliano Condò