ROMA – Se c’è in ballo una poltrona da presidente, una poltrona importante come quella del Coni, guai a fidarsi e a fare pronostici fidandosi delle tavole imbandite della sera prima. Perché, almeno giudicare da quelle, sembrava fatta.
Alla cena del candidatoo favorito, Lello Pagnozzi, organizzata all’hotel Parco dei Principi, sedevano 40 commensali. A quella dello sfidante sfavorito Giovanni Malagò, organizzata a via Veneto, a banchettare erano appena in 15. Pochi, sulla carta, per arrivare ai 39 voti che servivano per diventare presidente del Coni.
Così succede che il grande favorito va a letto tranquillo, si sente la presidenza in tasca, mentre lo sfidante conta e si rassegna ad una rimonta che non c’è, e che sembra impossibile. Poi la mattina dopo si va tutti al Coni si vota e succede l’imponderabile. Succede che lo sfidante Malagò al primo tentativo si porta a casa 40 voti, uno in più dello stretto indispensabile.
A dire il vero, come scrive sul Corriere della Sera Daniele Dellera, Malagò, almeno in pubblico, si era sempre detto sicuro della vittoria, di avere voti, almeno 39. Ma conta il giusto, se non altro perché Pagnozzi ne vantava 45.
Se la matematica delle cene non è un’opinione, insomma, al tavolo dello sconfitto hanno mangiato a sbafo almeno cinque Giuda. Pagnozzi, infatti, di voti ne ha raccolti 35. Cinque almeno hanno mangiato da lui e votato per Malagò. Che invece se l’è cavata con una tavolata modesta e un risultato politico a sorpresa. Uno di quelli che sempre il Corriere quotava come “uno scudetto dell’Inter con Stramaccioni in panchina”.
Morale: mai fidarsi delle cene per fare previsioni politiche. Un conto è la pubblica ostentazione di forchetta, un conto è il segreto dell’urna.
