ROMA – All’inizio del campionato mancano poco più di due mesi. Il calcio italiano, però, non dorme mai. Così, mentre chi può si
riversa sulle spiagge, negli uffici dei club si progetta e si riempono i tasselli chiave delle squadre che verranno.
Come ogni progetto che si rispetti, si comincia dalla “testa”, ovvero dall’allenatore. Quest’anno, escludendo il Milan campione d’Italia e il Napoli splendido terzo, hanno cambiato tutte. A cominciare da chi grande non lo è più dai tempi di calciopoli e vuole tornarci a tutti i costi, ovvero la Juventus.
Grande a tutti i costi non è una metafora: l’aumento di capitale da 120 milioni è di quelli colossali. Roba mai vista nel calcio, soprattutto ai tempi della crisi. Sia chiaro: non tutti serviranno per il calciomercato visto che la Juventus l’anno scorso ha riempito la rosa di prestiti che ora ha voluto e dovuto riscattare (con l’eccezione di Alberto Aquilani). Resta il fatto che 120 milioni sono un ben di Dio da non sottovalutare e a disporne, oltre ai dirigenti, sarà un tecnico giovane, italiano e juventino, quell’Antonio Conte che con i bianconeri ha vinto tutto o quasi da giocatore e che ora, dopo essersi fatto le ossa in provincia (Arezzo e Siena solo per fare due nomi) vuole ripetere l’esperienza da vincente sulla panchina.
Conte, se vogliamo, è a metà tra la scommessa e la certezza: tutto da valutare a certi livelli parte però con conoscenza dell’ambiente e credito della tifoseria. I maligni possono pensare al disastro di Ciro Ferrara, ma Conte, a differenza dell’ex difensore, è già allenatore da anni e la panchina della Juve se l’è conquistata a forza di risultati.
La scelta di Conte, però, tradisce un nuovo corso comune a tutto il calcio italiano. Un corso che, a seconda dei casi, rivela qualcosa che è a metà tra una scelta consapevole e un “vorrei ma non posso”. Dal nostro pallone, infatti, già dalla scorsa stagione sono spariti i “santoni della panchina”: quelli che c’erano (Mourinho, Capello ecc…) sono andati via. Quelli, vecchi e nuovi, che non c’erano, non sono arrivati.
Ne sanno qualcosa, più di qualcosa, Inter e Roma. Il caso dei milanesi è il più evidente: due anni fa, con Mourinho in panchina, hanno “sparecchiato” vincendo tutto quello che era possibile vincere. Poi un rapido e imprevedibile declino: dal flop di un “santone” come Benitez alla fuga precipitosa di Leonardo l’Inter si è trovata fino a qualche giorno fa con un buco in panchina. Il fatto, già anomalo di suo, è diventato allarmante quando sono iniziati a piovere i “no grazie”. Ai nerazzurri hanno detto no, nell’ordine, Marcelo Bielsa e André Villas Boas.
Passi, al limite per il secondo: corteggiato per settimane dalla nuova Roma made in Usa aveva fatto sapere che sarebbe rimasto “sicuramente” un altro anno al Porto perché il suo lavoro non era finito. All’Inter ha detto la stessa cosa. Poi è arrivato il Chelsea di Roman Abramovich con due valigette piene di contanti, una per il tecnico e una per la squadra portoghese (15 milioni di clausola rescissoria). E Villas Boas ha improvvisamente “dimenticato” che il lavoro col Porto era ha metà.
Bielsa è un caso ancora più eclatante: non allenava una squadra di club da 15 anni e all’Inter ha preferito una squadra spagnola di metà classifica, l’Atletico Bilbao.
Risultato: Gasperini, italiano e relativamente giovane, piacerà pure all’Inter. Ma alla luce delle trattative ci vuole veramente uno sforzo per non vederlo come un ripiego. Auguri.
Il Milan e il Napoli, invece, non hanno cambiato. Massimiliano Allegri, nella stagione dei tecnici che non avevano mai vinto uno scudetto è arrivato primo e ora punta a rifarlo. Dalle parti di Milanello, però, si guarda tradizionalmente molto più alla Champions e quest’anno gli ottavi potrebbero non bastare a Berlusconi e Adriano Galliani.
Walter Mazzarri, invece, dopo le polemiche e le rotture con Aurelio De Laurentiis è rimasto. Per lui la sfida è durissima: fare meglio del terzo posto sarà quasi impossibile, considerando che c’è di mezzo anche la Champions con un girone che difficilmente sarà facile.
Infine il rebus Roma. Gli americani si insedieranno a titolo definitivo ad inizio luglio. Insieme all’arrivo di Walter Sabatini e dello spagnolo Luis Enrique per ora è l’unica certezza. Anche nella capitale la rivoluzione è partita con una panchina giovane. La Roma, però, prima di affidarsi al tecnico del Barcellona B, ha incassato i no di Villas Boas (assenza della doppia valigetta di cui sopra) e del tecnico del Barcellona A.
La promessa è quella di una squadra giovane, arrabbiata, tecnica e veloce. Si aspetta la traduzione della promessa in mercato.