GENOVA – Se la partita fosse già cominciata nella mitica cornice dello stadio Luigi Ferraris, in riva al fiume Bisagno, spalti all’inglese che meglio di così la partita non si può vedere, a strapiombo sul campo verde, assisteremmo a una espulsione con maxicartellino rosso, al primo secondo di gioco.
Il giocatore espulso non è un roccioso difensore come il genoano Kaka Kaladze, ex Milan, grande eroe georgiano, oppure come il sampdoriano Angelo Palombo, mediano duro e puro, magari beccati alla prima azione per un fallo cattivo su un avversario subito in fuga verso la Gradinata Nord, storica curva genoana o in direzione Gradinata Sud, il covo dei sampdoriani.
L’espulso è una signora, niente meno che la sindaco di Genova, Marta Vincenzi del Pd, tiepida sampdoriana, focosissima primo cittadino, entrata sul campo del derby numero 104 sotto la Lanterna con un fallo clamoroso, altro che entrata a piedi uniti o a martello sulle caviglie nemiche. Cercando, a suo modo, di stemperare una stracittadina carica di tensione perché la Sampdoria si giocherà in questa partita la permanenza in Serie A contro un Genoa, che non ha niente da chiedere alla classifica ma che sembra determinato a stendere gli odiati “cugini”, cosa si è inventata la signora sindaco? Ha convocato in Comune i due capitani, appunto Angelo Palombo della Samp e Marco Rossi del Genoa, per invitarli a una comune azione di solidiarietà in vista della partita. Come per dire: venite da me che vi raccomando di stare buoni e bravi e di fare una bella partita.
L’inusuale mossa ha scatenato un putiferio, perché è ovviamente stata letta come un invito a pareggiare l’incontro in ossequio ai superiori interessi cittadini. “Sapete cari concittadini – ha sussurrato la signora Sindaco – per Genova è importante avere due squadre in serie A”. E la Samp ha proprio bisogno di non perdere.
Apriti cielo. La convocazione è stata subito letta come l’invito a fare quella che in termini calcistici si chiama “torta”, un accordo preventivo sul risultato. Per di più a una tavola imbandita nel palazzo del Comune da una tifosa sampdoriana, per quanto tiepida e, come il fatto spiega, anche abbastanza digiuna degli usi e dei costumi del calcio.
La parte genoana della città è insorta, gridando all’intrallazzo benedetto istituzionalmente. La parte sampdoriana si è offesa urlando: “Noi vogliamo salvarci da soli senza la compassione degli odiati cugini e interventi esterni.”
Il frastuono proveniente dalle due tifoserie e la gelida reazione dei due presidenti, il genoano Enrico Preziosi e il sampdoriano Riccardo Garrone, sono saliti tanto e tanto si sono sommati, che la convocazione è stata subito cancellata e la signora sindaco, Marta Vincenzi, ha compiuto una acrobatica retromarcia, cercando di spiegare con interviste e comunicati, che lei voleva solo invitare le squadra a disputare un derby senza tensioni, che esulassero dal semplice scontro di gioco.
Troppo tardi: la frittata era già fatta e servita in tavola. Non solo: la mossa della convocazione era stata preceduta da un’altra iniziativa anch’essa assolutamente impropria nel linguaggio istituzionale: alla vigilia dell’ultima partita di campionato, che schierava a Genova la Samp contro una altra pericolante del campionato, il Brescia, la Vincenzi aveva incontrato la dirigenza e la squadra blucerchiata a Tursi, il palazzo del Comune per un incoraggiamento particolare.
Già questa iniziativa aveva squilibrato il clima già teso nel quale a Genova si gioca il famoso derby, la partita più sentita che ci sia, la partita che vale un campionato e forse ancora di più, indipendentemente dalla posizione in classifica delle due squadre genovesi, il vecchio Grifone genoano, la prima squadra di calcio in Italia nata nel 1893 e la Sampdoria, fondata nel 1946 con epicentro nei quartieri di Ponente di Genova, dove un tempo vivevano prevalentemente gli immigrati dal Sud Italia. Da qui l’urlo anatema storico dei genoani contro i sampdoriani: “Gabibbi!” epiteto dialettale di chiara radice araba con cui si apostrofavano ( e in parte si apostrofano ancora) gli stranieri del Sud.
In una Genova tutta diversa, dove la distinzione geografico-toponomastica e quella indigena o immigratoria, rispetto al calcio e alle due squadre, non ha più alcun senso, dove l’immigrazione stessa è ben altra di quella anni Cinquanta, dove lo scudetto della Samp del 1990, sotto la presidenza di Paolo Mantovani, ha siglato un predominio calcistico blucerchiato indiscutibile per anni, il derby non ha perso una sola oncia del suo mastodontico peso per le due tifoserie.
Molto ha giocato in questa valutazione, che racchiude in una partita, anzi in due l’andata e il ritorno del campionato, il senso di una stagione e più, la lunga assenza degli scontri diretti. Con il Genoa ininterrottamente in serie B e anche in serie C per oltre dieci anni, il derby era una chimera per i tifosi rossoblù e per i sampdoriani la misura, nella sua assenza, di quella indiscussa superiorità cittadina.
Il ritorno in A del vecchio Grifone, quattro campionati fa, ha riportato la competizione frontale al massimo della tensione. Se si aggiunge che nell’anno d’oro del Genoa, nella stagione 2008-2009, i due derby sono stati vinti in modo chiaro e devastante dai rossoblù consecutivamente, alimentando la voglia di rivalsa blucerchiata, si capisce come il clima si è fatto sempre più incandescente.
Oggi il derby numero 104 è diventata così teso da suscitare gli interventi a piedi uniti della signora sindaco perchè le difficoltà della Sampdoria, precipitata nell’abisso della classifica dopo avere venduto i suoi gioielli, Pazzini e Cassano, diventati playmaker delle due squadre milanesi, sono tante che la stracittadina può essere determinante. Il contrapasso delle lunghe sofferenze genoane, culminate con la ignominiosa retrocessione in C, per colpa della famosa valigetta con 250 mila euro, servita, secondo la giustizia sportiva e quella penale, a addomesticare il Venezia nel match decisivo per tornare in A.
Se la partita clou fosse vinta dal Genoa, il destino sampdoriano sarebbe compiuto e le sue possibilità di salvarsi ridotte quasi a zero. Se, invece, vincesse la Samp le porte del paradiso si aprirebbero per gli uomini di Garrone.
Come nella regia di un giallo sportivo perfetto, la vigilia si è consumata calcisticamente con il Genoa che ha sconfitto, facendo un dispetto perfino ai suoi tifosi più accaniti, il Brescia e il Lecce, due dirette concorrenti della Samp per salvarsi. Un piacere enorme ai cugini ma con il veleno nella coda: il progetto di affondarli direttamente. “Non si facciano illusioni – ha tuonato il joker del Genoa, Enrico Preziosi dopo le due vittorie – Il derby lo giochiamo non alla morte, alla stramorte.”
Non si capisce se questa tattica di affondare tutte le concorrenti alla retrocessione con lo stesso criterio di severità agonistica e tecnica sia stato approvato dalla caldissima tifoseria genoana. Molti supporters rossoblù hanno addirittura seguito più le partite della Samp per gufare un risultato negativo che coccolato i propri beniamini, tranquilli a metà classifica. Una delle firme più più importanti de “Il Secolo XIX”, Stefano Tettamanti, che tiene una rubrica intitolato “Vecchio Balordo”, ha addirittura indetto un referendum il cui quesito, rivolto ai genoani, era: da uno a dieci quanto volete che la Samp retroceda. Risultato: un plebiscito di dieci e anche di quindici…..
La atmosfera si è talmente caricata che non solo la improvvida Marta Vincenzi è intervenuta a quel modo, ma ci sono state riunioni e vertici in prefettura e in Questura per studiare se l’orario del match di domenica, previsto in notturna alle 20,45 con Sky e i diritti televisivi pronti a esaltare l’evento, fosse il più congruo.
“Non sarà un rischio giocarla di sera, lasciando tutta la giornata libera ai possibili violenti per scorazzare in città, intorno alla stadio? Non sarebbe meglio giocare nel pomeriggio o addirittura alle 12,30 per smorzare i cattivi pensieri?” – si sono chiesti i tutori dell’ordine, probabilmente aizzati anche dalle iniziative fuori corso della signora sindaco.
Ha prevalso il buon senso: la partita si gioca nell’orario notturno, alla fine di una calda domenica di maggio. La signora sindaco non andrà allo stadio. Il match, che tra l’altro si disputa in casa del Genoa, quindi con un pubblico prevalentemente rossoblù in uno stadio che sarà esaurito, intorno, quindi, ai 40 mila spettatori. “Non vi salverà neppure Padre Pio” – hanno scritto sui muri della città i genoani.
I sampdoriani sono andati in ritiro a Novi Ligure, per stare più vicino alla residenza del loro presidente, il petroliere Riccardo Garrone, che vive blindato a Grondona, un paesino dell’Appennino Ligure, e che sta soffrendo il rapido cambio di prospettiva della sua squadra: avevano incominciato il campionato disputando anche la Champions League, dopo il quarto posto conquistato l’anno passato e lo concludono appesi al derby. La più difficile, ma anche la più imprevedibile, di tutte le partite. A meno che non finisca in un pareggio, quello maldestramente auspicato dalla signora sindaco con la sua entrata a piedi uniti.