Storia di Diego Milito, goleador di Chiampions, e del suo colpo di fulmine con Enrico Preziosi, del suo amore col Genoa, e del trionfo con l’Inter

Milito dopo il gol che garantisce la Coppa

Ma possibile che se ne sia accorto solo Enrico Preziosi, il joker, il re dei giocattoli, di quanto quel ragazzo di Bernal, distretto di Buenos Aires, con la faccia da argentino triste, un po’ pre moderna, l’andatura dinoccolata, sempre silenzioso, educato, “troppo buono” come dicono i suoi compagni di gioco, era un genio del calcio, meglio del gol, dell’area di rigore, di quei sedici metri? Eppure è stato così ed ora che Diego Milito “rischia” di vincere il Pallone d’oro e ogni squadra al mondo con un presidente miliardario sognerebbe di comprarlo, tutti si pongono quella domanda.

Di tanti osservatori, tecnici, suggeritori, presidenti, ex giocatori, ammalati di calcio per passione o per soldi, che circolano nel mondo globale della pelota aveva avuto il guizzo, da vero talent scout solo quel personaggio un po’ ermetico, un po’ discusso dell’avellinese, presidente del Genoa, calciofilo tardivo dopo i successi imprenditoriali con la “Giochi Preziosi”, sede a Cogliate in Brianza.

Se chiedi a Preziosi come ha fatto a scoprire Diego, a portarlo a Genova, e, soprattutto a riportarcelo, dopo che lo aveva perso nelle sabbie mobili di un calcio spagnolo che non lo aveva visto neppure quando aveva segnato quattro gol al mitico e galattico Real Madrid, nel tempio dello stadio Bernabeu, il joker ti guarda come se tu fossi scemo.

Roba scientifica la scoperta del campione, e poi il guizzo del padrone, in questo caso lui, l’uomo di Avellino, quello che aveva cominciato a masticare calcio al Saronno, serie D e poi C e poi al Como serie C, B, A e poi di nuovo B e infine Genoa nel 2003. Dove sta la scienza? “Io ho una rete di osservatori in tutto il mondo e quando metto nel mirino un calciatore lo faccio seguire per almeno un anno, un anno e mezzo, spiega Preziosi. Poi faccio studiare anche il suo carattere, quello è fondamentale. Poi esamino la famiglia, che non sia di quelle invadenti, possessive e ossessive nelle richieste e alla fine lo convoco davanti a me”.

Con Diego Milito, allora ventunenne centroavanti di belle speranze argentine, considerato un po’ meno forte del fratello Gabriel, difensore roccioso, nonno e nonna italiani (Salvatore Milito e Caterina Borelli), chiare origine calabresi, il colpo di fulmine era stato secco. “ Io il giocatore devo guardarlo negli occhi e a lungo, spiega Preziosi, devo capire di che pasta è fatto, devo capire le sue convinzioni, la sua voglia. Non mi basta vedergli toccare la palla”. E di occhiate tra Milito e il presidente del Genoa deve essercene stata una subito fulminante.

Diego arriva a Genova nel 2003, a campionato iniziato. Un centroavanti argentino, dalla faccia triste. Quanti ne hanno visti di sudamericani dentro allo stadio di Marassi dai tempi di Alberto Stabile, detto, El Filtrador, per come penetrava nelle difese avversarie, quello che, sbarcato il sabato dalla nave in arrivo da Baires e fatto scendere in campo la domenica, ne infilò quattro nella rete avversaria. Al Julio Cesare Abbadie, l’uruguayano superpettinato degli anni Cinquanta e Sessanta, che aveva la felinità di un leopardo in area.

Ma anche ai tanti “bidoni” presentati come genii del pallone, come quell’Alberto Calvanese, argentino, che non fece mai un gol o come quel brasiliano dal nome dubbio, Josè Chagas Eloi, che la tramontana del vecchio stadio genovese spazzava via prima dei difensori avversari, tanto era inconsistente.

Milito appena arrivato dall’Argentina e Preziosi si fiutano bene, quando il campionato del 2003-2004 è già cominciato, il nono campionato di serie B per il glorioso Grifone retrocesso dalla serie A inesorabilmente e mai più risalito.

“Ho capito subito chi era”, dirà ( e come non potrebbe?) Preziosi, ma qualcuno nello staff un po’ malmostoso del Genoa arriccia il naso: “Quello non è buono, è un po’ lento e farraginoso, un po’ troppo argentino”, commenta uno dei tecnici rossoblù, che oggi si inghiottirebbe non solo la lingua. Ma Preziosi è uno di quei presidenti che ha solo una parola e che si fida moto di se stesso, sopratutto e in particolare da quando un tecnico del Saronno gli disse che quel lungagnone del centroavanti della Lodigianesi, campionato semiprofessionistico milanese, dal nome di Luca Toni, non era per niente buono.

Preziosi si fida solo di se stesso e così Milito va. Nel Genoa del 2003 segna 12 gol, non uno sfracello per quella serie B, ma tanto da far capire chi era e da farsi confermare. L’anno dopo, l’anno maledetto del Genoa, quello della famosa “valigetta” con i soldi consegnata a un emissario del Venezia dopo il match della promozione, che precipita i rossoblù dalla A, vinta sul campo, alla C della corruzione sportiva, di gol ne segna 21, compreso l’ultimo nella porta del Venezia “corrotto”, quello che apre i festeggiamenti, ricacciati in gola dai Pm della Procura genovese e dai commissari della Federazione calcio.

Milito se ne va in silenzio in Spagna, venduto da un Preziosi che gli aveva costruito intorno una squadra da alta seria A, con il portiere Abbiati e il conterraneo “Pocho” Lavezzi, promettendo sfracelli.

Se lo prende il Real Saragozza, dopo che, udite, udite, l’Inter già di Moratti da tempo, lo rifiuta a Preziosi con alzata di spalle un po’ tanto strafottente: “Ma quello non è granchè!”.

In Spagna Milito vive una specie di nobile esilio: gioca con il fratello Gabriel, che poi salirà di tono andando al Barcellona, segna grappoli di gol, 15 reti, ballando il tango nella Liga del 2006 e 23 nel campionato del 2007, appena un gol dietro a un certo Ruud van Nisterlroy, il bomber del real Madrid e si permetterà il lusso di infilarne quattro proprio nella rete del Real Madrid in quella memorabile notte al Bernabeu.

Ma nessuno si accorge che lì sta decollando un vero campione. Né i potenti osservatori del calcio spagnolo in crescita assoluta verso i vertici mondiali di nazionali e club , né gli italiani che girano allupati i campi di calcio alla ricerca del bomber e non vedono quello striker-delantero come Milito dimostra di essere.

E così l’avventura dell’argentino, mago dell’area sembra, destinato a sparire nelle sabbie mobili della serie B spagnola con il Real Saragozza retrocesso nel campionato del 2008. Ma c’è un presidente a Genova, potrebbe mimare qualcuno. Si chiama Preziosi ed è l’uomo delle discese e delle risalite. E’ appena cominciato il primo campionato di serie A per il Grifone, che è risalito in due anni dall’inferno della serie C e a Catania i rossoblù hanno appena perso all’esordio , senza tirare neppure una volta in porta. E’ il 1 settembre del 2008 e gli uffici della Lega stanno per mettere i sigilli al mercato, quando il figlio di Preziosi, Fabrizio, un ragazzo sveglio e riservato, “lancia” letteralmente il contratto di Milito dentro alla stanza (che sta per chiudersi) dove si sigillano le ultime trattative. E il Principe torna a Genova.

Cosa era successo? Che quel filo tra il bomber in esilio e i Preziosi non si era mai interrotto. Fabrizio chattava e messaggiava con il campione lontano. Cinque sms dopo i quattro gol al Bernabeu: “Fantastico Diego, sei un mito” e il bomber rispondeva: “Non dimenticherò mai Genova e il Genoa. “

Promessa mantenuta e grande ritorno. Così il Principe Milito, erede, forse superiore al maestro, Enzo Francescoli, il campione uruguyano dal quale aveva strappato il soprannome per via di una imbarazzante somiglianza fisica nel viso e nel modo di accarezzare la palla, ripiomba a Marassi.

Non c’è bisogno di guardarsi negli occhi con Preziosi: si conoscono già. Milito va in campo il 16 di settembre contro il Milan di Ancellotti, di Kakà, di Pirlo di Ronhaldino, di Gattuso. Al 15 del primo tempo sullo 0-o è con le spalle alla porta, sullo spigolo dell’area. Gli lanciano una palla impossibile. Lui vola in cielo e angelicamente la doma, posandola sul piede di Sculli, l’ala destra genoana che folgora Dida il portierone milanista. Poi Milito segnerà  lui in quel match del Grande Ritorno e il Genoa vincerà 2 a 0, incominciando il suo miglior campionato in serie A, dopo quello della squadra affidata a Osvaldo Bagnoli, nel campionato 1990-1991.

Questo è il biglietto da visita di Diego che torna nel calcio italiano. Poi di gol ne segnerà altri ventuno in quel campionato e ne farà segnare almeno altrettanti. Diventerà quel che oggi è un quasi Pallone d’oro. “Belin, ma come è migliorato!!”, si stupiranno gli scettici blu della torcida genoana e zeneise, mitica Gradinata Nord.

Se ne andrà da Marassi piangendo, venduto all’Inter verso il suo destino da grande e conserverà sempre un polsino con il Grifone sotto quello da gioco. E firmerà un patto segreto che i genoani non dimenticano e che Preziosi non conferma e non smentisce. Comunque la sua carriera procederà, Diego Milito, il Principe ora diventato Re proprio nella Spagna che non lo aveva scoperto, a qualsiasi età concluderà la sua carriera indossando per la terza volta la maglia del Genoa. Debito di riconoscenza. O no?

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fmanzitti