ROMA – Sempre peggio: Portogallo 4° nel ranking Uefa, Italia 5°. Il calcio italiano è sprofondato trent’anni nel passato: l’ultima volta era successo nel 1984, anno di Liverpool-Roma finale ai rigori di Coppa Campioni.
La Juventus non è riuscita a battere il Benfica. Sono soltanto cifre, dice qualcuno, e pochi sport come il calcio soffrono il confronto impari tra statistiche e risultati conseguiti sul campo.
Ne parla La Gazzetta dello Sport in un articolo a firma di Fabio Licari. Riportiamolo di seguito.
“È crisi perché l’Italia non è più competitiva (non solo nel calcio). Punto. Dalla finale di Champions 2003 — apoteosi di un sistema che porta due squadre all’ultimo atto (Milan-Juve) come oggi la Spagna e l’anno scorso la Germania — a un vuoto disperante di risultati. Non è zeru tituli perché il Milan 2007 e l’Inter 2010 restano nell’albo d’oro. Episodi, eccezioni alla regola: il grafico in alto dimostra come, negli undici anni dopo Milan-Juve, abbiamo portato appena 7 squadre nelle semifinali di Champions ed Euroleague. Superati, che strano, anche dal Portogallo e umiliati dal confronto con Inghilterra (21) e Spagna (27).
Ma è crisi perché la Juve, la più forte degli ultimi tre anni, dominatrice di due campionati e sul punto di conquistare il terzo con 100 punti, non riesce a mettere sotto la corrispondente portoghese, il Benfica, protagonista di un torneo spogliato di campioni, povero economicamente, abbondante solo di giocatori che appartengono a fondi privati. In 180’ la Juve sembra superiore ma non ha la personalità per risolvere la situazione: come già successo con Copenaghen (fuori) e Galatasaray (in casa e a Istanbul). E parliamo del meglio. Poi il Napoli k.o. con il Porto, il Milan surclassato dall’Atletico, la Lazio out con il Ludogorets (!), l’Udinese addirittura ai playoff con lo Slovan… Triste ritorno all’era pre-Sacchi, quando una trasferta in Europa era 90’ di terrore. No, non aveva tutti i torti Capello quando ha lanciato l’allarme: il nostro campionato non è più «allenante». Si può ammettere?
Sì, ma… I nostri dirigenti hanno la risposta pronta: perdiamo con Bayern e Barcellona perché non possiamo competere con i loro fatturati, e quindi il loro mercato, le loro formazioni e via giustificando. Tutto vero. Ma perché il discorso non vale per il Borussia, 256 milioni di fatturato, finalista l’anno scorso (sconfitto dal ricchissimo Bayern)? E perché anche l’Atletico sta per giocarsi la coppa a Lisbona, il 24 maggio, pur con un bilancio di 120 milioni? La Juve (272) e il Milan (263) sono più benestanti. Anche del Benfica (109 milioni) e del Siviglia (sotto 100). E allora di che stiamo parlando?
Fair play: 9 in bilico Stiamo parlando di mentalità e programmazione. Mentalità che ti impedisce di affrontare l’Europa League come un fastidioso impegno tra due giornate di campionato: spagnole, inglesi, tedesche e portoghesi non la vedono così, ma anche per loro le partite durano 90’ e le rose Uefa sono di 25 giocatori. E programmazione: che ti consente di impostare un progetto a lunga scadenza con stadio di proprietà, settore giovanile e investimenti mirati se non puoi permetterti i 100 milioni pagati per Bale dal Real (che può ancora arrivare 2° in Liga e in Champions, restando solo con la Copa del Rey). Per non parlare del fair play finanziario: la prossima settimana sarà decisiva, delle 276 squadre monitorate sono rimaste soltanto 9 sotto osservazione (con Psg e City, ma non italiane).
Sembra una situazione quasi disperata. Nei momenti più difficili il nostro movimento ha però trovato le forze per risorgere, cominciando da una Nazionale che negli ultimi 8 anni ha vinto un Mondiale e raggiunto una finale europea. Ma senza nuove regole di ingaggio, cioè stadi per diversificare gli incassi, riforma dei campionati (a quando a 18?) e incentivi veri a chi si comporta come Borussia e Atletico, sarà più difficile a ogni anno che passa. Qui Italia anno zero, da domani si ripart e. Non può che essere così”.