ROMA – Un gol un po’ fortunoso dopo 40 minuti di non gioco. Alessandro Florenzi sfrutta una respinta imprecisa di un difensore, la mette alle spalle di Perin e poi corre. Non verso la curva sud (vuota anche oggi). Corre verso il suo allenatore, quel Rudi Garcia che contro il Genoa si giocava la possibilità di rimanere tale contro logica, buon senso e risultati. Quella corsa significa che la squadra, almeno a intenzioni, è ancora con Garcia.
Solo che quando Florenzi corre succede qualcosa di particolare. Il tempo di abbracciare Garcia e il (timido) boato dell’Olimpico per un gol fatto si trasforma in un nugolo di fischi. La tifoseria della Roma, insomma, non approva. In tanti, nella capitale, vedranno e rivedranno quelle immagini cercando di dargli un valore forse più simbolico di quello che hanno. Subito dopo Florenzi arrivano alla spicciolata in diversi: arrivano nell’ordine Nainngolan, Manolas e Pjanic. Facile immaginare che in radio e giornali, domani, ci sarà l’elenco dei giocatori che stanno con Garcia.
Il problema è un altro. Il 2-0 con cui Garcia si salva non salva la Roma. E’ frutto di una serie di dati che solo una miopia conservativa consentono di non vedere. Il primo fatto è che la Roma anche oggi ha giocato male. Non ha preso gol, è vero. Ma la Roma dà costantemente l’impressione di non sfruttare a pieno, a dire il vero neppure in parte, il suo potenziale. Gioca sotto ritmo, non serve il suo centravanti (Dzeko oggi nervoso fino ad essere espulso per un vaffa in inglese all’arbitro), non innesca più neppure le fasce e le sue “frecce”. Quando perde palla sbanda spesso e rischia di prendere gol anche da una squadra manifestamente inoffensiva come il Genoa odierno.
La Roma è una squadra lenta, impacciata e sfiduciata. E’ lenta nel gestire il pallone, è sfiduciata nei suoi uomini chiave, Pjanic e Dzeko i due giocatori di livello internazionale che ha (escluso Strootman ai box per chissà quanto). E’ impacciata nei movimenti. Difficile, per questi elementi, non dare responsabilità a chi la squadra allena.
E’ sfuggito ai più, ed anche questo è un dato, che sabato, in conferenza stampa, Rudi Garcia si è indirettamente sfiduciato da solo. Tra le tante cose ha infatti detto: “Ci sono delle cose da cambiare, il ritmo degli allenamenti”. Ora, fino a prova contraria, il ritmo degli allenamenti dipende da lui. E accorgersi il 19 dicembre che la squadra non si allena al giusto ritmo è qualcosa di cui proprietà e dirigenza dovrebbero chiedere immediatamente conto al tecnico. Curioso, poi, che la frase di Garcia arrivi subito dopo la controversa intervista di Zdenek Zeman che su una Roma solo in parte diversa diceva a modo suo, meno diplomatico, la stessa cosa. Dettagli.
Prima della gara il presidente James Pallotta aveva detto che dal Genoa non sarebbe dipesa la sorte di Garcia. Lo aveva detto usando una perifrasi un po’ da cartomante, sufficientemente vaga da essere interpretabile in più modi: “Spero che la Roma vinca contro il Genoa, ma qualunque decisione che io prenda o debba prendere su qualsiasi cosa, non potrà mai basarsi solo sul risultato di una singola partita”. L’errore che la Roma si appresta a fare è proprio questo. Decidere sulla base di un solo risultato: una vittoria in casa contro una squadra che tra un paio d’ore potrebbe ritrovarsi terzultima. Una squadra senza cinque titolari. Una squadra, forse la sola in serie A in questo periodo a stare peggio della Roma stessa. Se a Trigoria questo basta a non cambiare allora la Roma continuerà ad avere il record degli scudetti vinti ad agosto, ovvero prima dell’inizio del campionato. Purtroppo per la Roma e i suoi tifosi, però, ad un certo punto cominciano le partite. E il ritorno alla realtà è sempre amarissimo.