La partita con la Slovacchia è stata decisa nel primo tempo, al termine del quale una cosa era già certa: Lippi se ne deve andare e se sarebbe dovuto andare neanche se avesse vinto il match, anche se avesse vinto il mondiale.
Lo abbiamo visto tutti in diretta tv, è bollito, è arrivato al capolinea. Alla fine della partita, la cosa meno sportiva del mondo: ha rifiutato di stringere la mano al collega slovacco. I tedeschi hanno già messo in cantiere la successione del loro allenatore, Low. E noi?
Gli italiani hanno già votato, pochi hanno lasciato le loro attività di lavoro o di svago per vedere la partita. Il traffico a Roma era quasi normale. La maggior parte di noi è rimasta in ufficio, a seguire con internet la partita.
Berlusconi, che di calcio ne capisce, aveva previsto la sconfitta, è stato ben zitto e ha anche tagliato la corda, rifugiandosi in Canada. Lui, la sentenza su Lippi l’ha già pronunciata, col silenzio.
Con la sua arroganza, con la sua superbia, Lippi ha trascinato la nazionale italiana in una pessima figura. Lasciando il campo con un brutto gesto quale quello di rifiutare il saluto dell’allenatore (vittorioso) della Slovacchia.
La nazionale di calcio non è l’Italia, per fortuna, ma è un bel pezzo della nostra immagine, il riscatto dei nostri emigranti, una delle poche cose di cui oggi un italiano poteva andare orgoglioso, nel mondo.
Tutti i cicli hanno una fine. Quello di Lippi era ancora nella fase alta ai tempi di Calciopoli, ma con gli anni questo accanito masticatore di gomme non ha retto. Ora è crollato. La sua ostinazione nell’escludere calciatori come Balotelli e Cassano suona pretestuosa, è inspiegabile. Fa ridere quando dice che non sono maturi. Certo sono dei gran rompiscatole, animali difficili da governare e gestire, ma una squadra di pallone non è una caserma e quelli comunque sono due fiori di calciatori. Non saranno maturi, abbiamo dei dubbi che lo siano, ma lui Lippi, ne siamo certi, è stracotto.