Gigi Buffon e una generazione al passo d’addio. Se la stella azzurra ai prossimi Mondiali sudafricani è un numero 1 – inteso come maglia sulle spalle – non è solo perché il portiere azzurro è unanimemente riconosciuto come un fuoriclasse.
L’Italia si presenta per metà vecchia nell’anagrafe, e per l’altra metà con tanti giovani di belle speranze ma senza certezze così deve fare affidamento, come campione e uomo simbolo, su un giocatore che i gol per mestiere li evita ma non ha certo poteri magici per farli segnare.
Il 32enne ragazzo di Massa Carrara, sorriso da eterno bambino e modi un po’ meno guasconi degli esordi da giovanissimo, il suo Mondiale super l’ha già giocato. Per molti fu una contraddizione che il Pallone d’oro 2006, nell’anno dell’incredibile vittoria azzurra ai Mondiali, non lo vincesse proprio lui, piuttosto che Fabio Cannavaro.
Buffon, che fino a quell’anno e all’esplosione di Calciopoli, aveva collezionato vittorie e trofei in fila, ha da allora pagato la scelta coraggiosa di rimanere alla Juve anche passando per il calvario della serie B. E non ha più arricchito il suo ricco palmares, fatto oltre che del titolo mondiale 2006 di quattro scudetti (di cui due revocati), tre Supercoppe italiane, una coppa Uefa, una Coppa Italia, un Europeo Under 21.
E nel 2008 ha aggiunto il titolo di miglior portiere del pianeta negli ultimi 20 anni, attribuito dall’IFFHS, l’istituto degli statistici del calcio riconosciuto dalla Fifa. Eppure il ‘gatto’ dei pali, l”animale’ calcistico dotato di un’incredibile reattività nervosa e muscolare a difesa della sua porta, ha vissuto una delle sue stagioni più difficili, sul piano fisico e con la Juve.
“Quante figuracce”, ammette lui stesso, imputando all’annus horribilis juventino i giudizi negativo sulle sue prestazioni. «Avevo fatto un avvio di stagione che era il migliore da quando gioco – spiega – Se sto bene fisicamente, so di potere essere ancora il numero 1 al mondo».
Il campionato 2009-2010 lo ha visto fermo ai box due volte; la prima per quasi due mesi, a cavallo di Natale, per un’operazione al menisco alla quale lo juventino si è sottoposto proprio quando non ce la faceva più a giocare col ginocchio rotto; la seconda tra marzo e aprile, più breve, ma altrettanto preoccupante, perché di origine muscolare.
Risultato, Buffon è arrivato al ritiro per il Mondiale non allenatissimo. E chissà se, come dice Lippi dei tanti infortunati del suo gruppo, sarà davvero un vantaggio. Quel che non si allena è la carica di leader. Buffon l’ha conquistata presenza dopo presenza (100), Mondiale dopo Mondiale: questo è il terzo, verosimilmente anche l’ultimo. Anche per questo Lippi intende assegnargli la nazionale. Chiavi in mano.