E pensare che Luca Toni da Pavullo, provincia di Modena, campione del mondo, bomber di venti squadre, dalla Lodigiani della Promozione al Bayern di Monaco, alla Fiorentina, alla Roma e ora alla Juventus, 35 anni, 1,95 di altezza, quella firma ad ogni gol cacciato nella porta altrui con il gesto delle mani a coppa ruotante intorno all’orecchio (“Voglio sentire i vostri applausi…”) in fondo lo aveva scoperto lui, il joker, come Blitzquotidiano oggi vi può svelare.
Lui, Enrico Preziosi da Avellino, presidente operativo della Giochi Preziosi, 63 anni ruggenti, presidente del Genoa, Luca Toni lo aveva visto giocare su un campetto lombardo, lungo e magro come era allora, ma già affamato di gol, di corse pazze verso il centro campo dopo averla messa dentro quella palla dei mille tormenti, di testa prevalentemente, ma anche dopo lunghe cavalcate con quelle gambe arcilunghe e i piedi prensili. “Quello è buono”, aveva detto il Joker ai suoi tecnici e osservatori degli esordi della sua cavalcata nel mondo del football, presidente in erba del Saronno Calcio, alba di una carriera a colpi di fuochi artificiali. E loro lo avevano snobbato. Ma guarda un po’ questo presidente appena arrivato che se la pretende di capire se uno è buono o no, avevano mormorato gli esperti. E Toni Luca, futura superstar del calcio se lo era pappato qualche altra piccola squadra, primo trampolino di lancio per una carriera lunghissima e stratosferica.
Che ora, per uno strano destino, il presidente Preziosi fa di nuovo girare di colpo, cedendolo nel mercato di gennaio dal suo Genoa niente meno che alla Juventus, dopo averlo messo in crisi con le sue critiche di fuoco. Pirotecnico Preziosi, che l’ex pupillo, finalmente ingaggiato dopo quasi tutta la carriera già consumata, il Toni, se lo era comprato dalla Roma nell’estate scorsa, puntandoci da vero Joker tutte le sue carte di mitico talent scout oggi un po’ sfiorito, da Milito a Thiago Motta fino al lungagnone in fin di carriera.
“Almeno 15 gol ci farà”, spaparanzava il Preziosi nella funambolica campagna acquisti del Genoa nella scorsa estate, immaginando una diabolica combinazione tra i suoi nuovi acquisti, il magico portoghese Miguel Veloso, il rapace terzino spagnolo Chico, il piccoletto e puntuto brasileiro Rafinha, un nome una garanzia, e l’ormai collaudato Rodrigo Palacio, argentino talentuoso dal codino cinese.
Un flop. Solo tre gol ha segnato il monumento di Modena in tutto il girone d’andata, solo tre volte il suo orecchio si è amplificato nella corsa verso il centro campo. E il suo presidente-talent scout, alla fine del girone lo ha bollato: “Si merita in pagella un tre, come i gol che ha segnato, ha comunicato urbi et orbi il presidente in vena di stangate, un solo mese dopo avere licenziato in tromba il suo allenatore dei miracoli, Giampiero Gasperini, co-artefice del Genoa-boom degli anni scorsi.
Che poteva fare il centravanti modenese nato a Pavullo, carico di medaglie, con una carriera grondante gol ovunque, meno che in riva al Bisagno, il fiume secco che scorre a pochi metri dallo stadio Luigi Ferraris, mancato tempio per Toni, che lì non è riuscito a farsi consacrare? Si è offeso a morte. Rapporto rotto, Mercato riaperto e Toni in pista per l’ennesimo trasloco della sua preziosa carriera.
Il giorno della Befana, match in casa del Genoa contro la Lazio dei miracoli di questo inverno, Toni ci ha provato ancora sotto gli occhi furibondi del presidente Joker, che in uno stadio di Marassi ghiacciato dalla tramontana scura che soffiava dalle alture genovesi, lo puntava o meglio lo fucilava, stretto nel suo capottino di cashmere blu e nel suo umore nero come il cielo zeneise.
Un colpo di testa alto sulla traversa, una palla tirata addosso al portiere da due metri, un’altra testata senza misura e una partita più da paracarro che da bomber dal palmares d’oro.
E così Toni è decollato e il Genoa è rimasto ancora una volta senza la sua punta.
E così soprattutto Preziosi, il cavaliere solitario del calcio del terzo Millennio, quello sopravvissuto a tutte le tempeste, ha affondato il suo undicesimo centravanti in quattro campionati.
Una vera strage e non di personaggi qualsiasi del calcio, ma di veri bomber, che se metti insieme tutti i gol che hanno segnato nel mondo riempi veramente una decina di porte.
Una specie di rapporto edipico in cui Preziosi se la gioca da figlio che assassina i centravanti-padri che lui non è mai riuscito a diventare, da quando giocava a pallone nei vicoli di Avellino. Prima di Toni e con Toni tutti venduti, ceduti, licenziati, regalati, insomma deviati via da una Genova, che assiste sbigottita senza dire una parola, terrorizzata com’è da questo presidente-padrone che fa e disfa cento volte, altro che la famosa tela, ma che nessuno osa toccare perchè ha fatto due miracoli: ha fatto risorgere due volte il vecchio Genoa Criket and Football Club dalla serie C. Una prima volta dove l’aveva salvata, acquistandolo da un mister x del calcio il mestrino imprenditore di profumi Luigi Dalla Costa e una seconda dove l’aveva precipitato la giustizia sportiva, con l’accusa di avere comprato la famosa partita Genoa-Venezia del giugno 2005.
In tre anni dalla C alla A e in quattro a sfiorare la Champion League con i gol di Diego Milito, inventato da Preziosi, mentre stava retrocedendo nella serie B spagnola senza che nessun presidente, procuratore, agente, talent scout se ne fosse accorto che quello era il vero bomber europeo e mondiale.
Come si fa a dire qualcosa a Enrico Preziosi dopo questa resurrezione, dopo dodici anni di serie B, umiliazioni spaventose, squadre, giocatori e allenatori anonimi, dopo che lui ha creato Giampiero Gasperini, il mister del calcio più bello mai visto sotto la Lanterna e incenerito dallo stesso presidente, come in un fratricidio, due mesi fa, solo perchè il campionato andava un po’ meno bene del previsto e faceva la squadra senza una mentalità troppo aziendalista?
Non si può e in questo modo, nel black-out dei tifosi, continua la strage dei centravanti.
Il primo a saltare era stato Di Vaio, che con il Genoa era tornato in A e che è stato liquidato per esigenze tattiche. Non sarebbe piaciuto troppo più che a Preziosi a Gasperini, ma fu bruciato e dopo riesplose e riesplode ancora a Bologna dove ha sfiorato la vetta della classifica cannonieri e dove continua a fare gol come una macchina.
Va be’! Poi era arrivato niente meno che il signor Borriello, un mezzo fallito fino a quel momento e che nel Genoa aveva fatto faville, tante da essere ripreso dal Milan comproprietario con il benestare di Preziosi. Per forza: il pres. aveva l’asso nella manica: Diego Milito, il centravanti che più di ogni altro, dopo i mitici Verdeal, che centravanti era e Abbadie, mezzapunta, un argentino e un uruguagio, hanno fatto sognare nella storia rossoblù.
Sogni dolci e di gloria, probabilmente molto simili a quelli degli anni Sessanta per un piccolo-grande campione come Meroni, quello morto a Torino sotto una macchina dopo la partita e come Aguilera e Skuhravy negli anni Novanta, il piccolo uruguaiano e il gigante cecoslovacco del miracoloso Genoa di Bagnoli.
Ma anche Milito è stato sacrificato in una valle di lacrime, senza che nessuno si sognasse di criticare neppure a mezza voce il presidente. Come si fa a dire di no a 18 milioni di euro? Meglio gli investimenti per la società e la squadra o meglio il campione-bandiera-mito?
Meglio la società e la squadra, ha sostenuto, allora, il joker e allora vai con il valzer dei centroavanti. Il ballo era già incominciato in sordina con l’argentino piccolo e pelato Lucio Figueroa, uno sfortunato ex mitico bomber colpito dalla sfortuna di una catena di incidenti e a lungo atteso dal Genoa per il suo talento, alla fine rispedito in Argentina dopo un patteggiamento con il suo genitore, un affarista che Preziosi avrebbe volentieri bruciato vivo.
Dopo Milito arriva Floccari, il fenomeno del futuro, secondo il pres, il giocatore più costoso nella storia rossoblù del Genoa. Peccato che giochi poche partite perchè anche qui non c’è feeling con l’allenatore Giampiero Gasperini che se lo è sentito imporre dall’alto. Ma Preziosi inghiotte le esclusioni e alla fine patteggia con il presidente della Lazio Lo Tito e Floccari va a fare furori a Roma…
Insieme a Floccari la mannaia dei centroavanti taglia fuori anche l’altro grande acquisto del dopo Milito, il mitico Hernan Crespo, uno degli attaccanti più forti nella storia del calcio, un eroe dei due mondi, un argentino che ha giocato ovunque e ha segnato quasi quattrocento gol, compresi quelli nella sua nazionale biancoceleste, un vero campione come giocatore e come uomo. Crespo arriva a Genova con la sua immensa classe, ma lo usano come tappabuchi e a metà campionato via. Venduto al Parma, dove si mette subito a segnare e dove continua a farlo, malgrado i trentasei anni suonati e quei capelli ingrigiti e tagliati corti che lo fanno sembrare lo zio del Crespo furente dalla chioma lunga e dalle testate micidiali di qualche anno fa.
Ma le testate Crespo le da uguali a prima e il Parma vola. Mentre a Genova si accontentano di un simpatico honduregno sempre infortunato, Suazo, ex prodigio del Cagliari ed ex delusione del Milan e della promessa Robert Acquafresca, anche lui prodigio in erba del Cagliari, acquistato dal Genoa ma dirottato all’Atalanta. E che cavolo! A Genova c’erano già Floccari e Crespo e che serviva Acquafresca, da tutti indicato come uno dei migliori talenti italiani?
Così via Floccari e Crespo, ecco anche Acquafresca sotto la Lanterna. Poche partite, pochi gol, tanto che alla fine, questa volta d’accordo Preziosi e Gasperini lo accontentano e lo fanno tornare a Cagliari. Per una volta la scelta forse è globalmente giusta, perchè il talento forse è del tutto sfiorito e neppure a Cagliari il ragazzo ritrova la verve, mentre Di Vaio, Borriello, Milito, Floccari, Crespo continuano o riprendono a fare meraviglie.
Chi ha assassinato tutti questi centravanti, chi li ha venduti, ceduti, trasferiti, come se si dovesse seguire il copione del grande Manuel Vazquez Montalban e del suo libro. Il detective Pepe Carvalho non avrebbe dubbi, in una sua inchiesta in riva al Bisagno. E partirebbe sicuramente dagli ultimi indizi, quelli lasciati sul prato verde e sulle tribune di Marassi dopo la partita della Befana, con Toni il gigante deluso che invece di correre sotto la Nord con la mano destra intorno all’orecchio, si infila cupo negli spogliatoi.
I tifosi stanno zitti, la critica fa del colore come se in quella partita dell’ultimo addio a un centravanti non fossero comparsi nel grande tabellone che segnala i risultati delle altre partite, i nomi di tutti gli ex puntualmente a rete, Di Vaio, Borriello, Crespo… Chissà forse Figueroa ha segnato in Argentina e sicuramente Verdeal lo ha fatto in paradiso insieme a Stabile, il filtrador, che scese a Marassi, direttamente dalla nave di linea Buenos Aires-Genova e infilò quattro palloni in rete. Ma quei centravanti non li assassinava nessuno.