Rugby, l’Italia c’è. Questo il messaggio più forte (atteso da anni) che arriva dal match di sabato a Roma contro i leggendari “All Blacks“.
Sono la squadra neozelandese più seguita e amata nel mondo, quindici volte prima nel Rugby Championship in 23 partecipazioni.
Certo con un catenaccio ma senza orpelli, zero Accademia, tanta esplosiva aggressività.
Dopo 27 minuti di gioco il tabellone dell’Olimpico segnava ancora lo 0-0.
Poi al 28’ Christie ha aperto il gas e tre minuti dopo Mo’unga ha messo a segno la prima delle sue quattro mete e gli azzurri hanno spento la luce. Ma non sono affondati davanti ai tre volte campioni del mondo. Buon segno.
La giovane Italia del coach Crowley ha dimostrato, uscendo a testa alta, che ci sono evidenti margini di crescita. E proprio contro i maestri – 16 vittorie nelle ultime 16 gare – si è notato. Certo il conto totale delle mete ( 7-0 ) risulta impietoso .
La distanza tra gli All Blacks e gli azzurri è notevole, e questo si sapeva. E non c’è da stupirsi se i marziani del rugby hanno sonnecchiato all’inizio. Ma quando sono svegliati hanno risolto la pratica in sette minuti con l’uno-due firmato in fotocopia dal devastante Coles. Risultato all’intervallo: 21-9. Garbisi ci ha messo una pezza.
Nessuna illusione nella ripresa. La coperta azzurra è corta e leggera. Per vincere le collisioni servono due uomini contro uno. Alla fine si contano 191 placcaggi contro 68, Riccioni 18 ). Il quadro è chiaro.
Tuttavia non sono mancate le cose buone. Ad esempio Varney nella mischia si è fatto rispettare. Minozzi ha retto il confronto con McKenzie. Garbisi sui calci ha fatto 3 su 3 (9 punti).
Test match convincente anche se – non va dimenticato – gli All Blacks hanno giocato col freno a mano tirato. Le cose da migliorare non sono poche. Ad esempio, l’uscita dei palloni in attacco è ancora troppo lenta e c’è da limare le touche ( perso una su quattro ). E la difesa dei drive va migliorata, come ha detto il c.t.azzurro Crowley a fine gara. In ogni caso non sono mancati gli applausi. Per tutti.
Il rugby cresce. E i tuttineri sono straordinari promotori e ambasciatori. Con la haka tradizionale (particolare danza Maori) e con il mito Lumu – la prima vera superstar mondiale del rugby a 15 – un tre quarti ala di quasi due metri, potente, veloce, coraggioso, prematuramente scomparso ( 1975-2015 ). Lo ha fermato a 24 anni una sindrome nefrosica. Ma il suo mito è sempre vivo. E Roma ha giustamente ricordato la leggenda planetaria.