TORINO – Per i tifosi e per la società sono 30. Per gli almanacchi sono 28. Per Antonio Conte, che da giocatore ne ha vinti diversi, lo scudetto conquistato domenica sera dalla Juventus è il primo. Scudetto che vale tanto e per tanti motivi: è il primo del dopo Calciopoli, interrompe un digiuno di troppi anni, arriva superando un’avversaria, il Milan, più quotata e forse come valori tecnici più forte. E poi c’è la ciliegina sulla torta: lo scudetto viene servito su un piatto d’argento dall’Inter, la nemica numero uno dal 2006. Inter che fa il suo dovere, batte il Milan, prova a tenere vivo il suo campionato e suo malgrado fa un regalo alla squadra che meno in assoluto avrebbe voluto “aiutare”.
La Juve incassa, festeggia e non ringrazia. Anzi. Il numero che fa capolino un po’ ovunque è il 30, numero che all’Inter proprio piacere non fa. Per gli almanacchi e per le sentenze gli scudetti bianconeri, dopo Calciopoli, con questo sono 28. Per i tifosi juventini (e passi) sono invece 30. Per i calciatori juventini (e passi un po’ di meno, ma ancora passi) sono 30. Quello che non passa è che sono 30 anche per la società Juve, quella presieduta da Andrea Agnelli. Quella che prima fa preparare uno spumante da festa, e il dirigente Beppe Marotta lo dice davanti ai microfoni, sulla cui etichetta c’è scritto 30 e poco dopo, sull’account ufficiale Twitter scrive che festeggia il trentesimo scudetto.
Sarebbe stato sufficiente vincere, tornare a celebrare la “signora” del calcio italiano. Invece la dirigenza e la proprietà bianconera hanno voluto stra-vincere. Esagerazione che nulla toglie, in ogni caso, al verdetto del campo.
Il trionfo ha prima di tutto un nome e un cognome, quello di Antonio Conte da Lecce, l’allenatore chiamato al capezzale di una signora in crisi di risultati e immagine e che la Juventus ha saputo rigenerare a tempo di record. Perché la differenza tra la Juventus timida e incerta dello scorso anno e la squadra continua e imbattuta di quest’anno l’ha fatta soprattutto il tecnico. E non è, almeno non solo, una questione di personalità e di grinta. Quella ce l’hanno anche altri allenatori. La differenza di Conte è stata soprattutto tecnica. Poi ci sono la grinta, il carattere, la tenuta nervosa: tutte cose importanti, ma che vengono dopo il fatto tecnico.
In primo luogo l’allenatore bianconero ha mostrato duttilità, ha saputo ripensarsi e in qualche modo anche sconfessare se stesso. Sul mercato ha chiesto una pattuglia di esterni perché in mente aveva il 4-2-4, sfida che nel calcio italiano è suggestiva ma al limite dell’utopia. Gli esterni sono arrivati: a Pepe e Krasic, già in rosa, si sono aggiunti la promessa olandese Elia, l’italiano Giaccherini, il paraguaiano Estigarribia. Ma il 4-2-4 e gli esterni non si sono visti quasi mai. Conte ha cambiato tutto sfruttando l’esplosione di una mediana da urlo: alla certezza Pirlo si sono aggiunti Marchisio e Vidal.
E la Juve è andata forte dall’inizio, nonostante qualche pareggio di troppo e, a volte, troppa fatica nel trovare i gol con gli attaccanti. Ma anche lì l’allenatore della Juve ha saputo vincere la sfida nonostante non avesse un centravanti da 20 e passa gol, un Ibrahimovic della situazione. Al contrario l’attacco della Juventus è stato all’insegna della rotazione. Con una sola eccezione: Mirko Vucinic, quello a cui l’allenatore non ha rinunciato mai.
La differenza di Conte è tutta nei numeri. Il tecnico di Lecce ha preso una squadra che aveva chiuso il campionato precedente al settimo posto con 58 punti, fuori da tutte le coppe e con 10 sconfitte sul “groppone”. Le 10 sconfitte, quando manca una sola partita alla fine sono diventate zero, i punti sono diventati 81. I gol fatti sono aumentati di poco, da 57 a 63, mentre tutta la differenza del mondo è in difesa. I gol subiti, l’anno scorso, erano stati 47, quest’anno appena 19. Il vecchio adagio che i campionati si vincono con le difese, insomma, torna d’attualità.
E non perché la Juve abbia giocato in difesa, anzi. Per larghi tratti della stagione, se non la più spettacolare, la Juventus è stata certamente la squadra più organizzata. Capace di cambiare modulo in modo radicale, di adottare con risultati indifferenti la difesa a tre e a quattro, passare dalle due alle quattro punte. Altro merito, indiscusso e indiscutibile di Antonio Conte. Come è stato suo merito aver gestito il momento più difficile della stagione della Juventus, quello della flessione, del sorpasso Milan, del gol fantasma di Muntari con tutti i veleni che ne sono seguiti.
C’era tutto per cedere: la stanchezza nervosa, la consapevolezza che l’avversario, come qualità complessiva di rosa aveva qualcosa di più. E invece là è uscito fuori qualcosa di inaspettato: la Juventus ha reagito di forza, ha vinto una battaglia tutta di nervi con un avversario più esperto che sui nervi avrebbe dovuto avere l’esperienza per vincere facile. Altro merito di Conte e di una strategia da “mulo”: scalciare quando serviva, rifiutare il confronto parlando di noia e stizza ogni volta che il gol di Muntari faceva capolino in conferenza stampa. Ha avuto ragione lui che si gode il suo primo scudetto. Alla fine, per l’artefice principale della vittoria, che siano 28 o 30 cambia niente. Contava vincere il “primo”, contava vincere oggi. Missione compiuta.