Calmo, tranquillo, incredulo. A poche ore dal suo arresto davanti lo stadio Ferraris di Genova, nel parlatorio del carcere ex femminile di Pontedecino a Genova, Ivan Bogdanov, il tifoso serbo arrestato per la guerriglia che ha stoppato la partita tra la Nazionale azzurra e la Serbia guarda le sue foto con gli occhi sgranati. E per prima cosa chiede scusa ”all’Italia e agli italiani”.
Ivan parla con il suo avvocato e cerca di sminuire la portata politica, sportiva, sociale che ha avuto quel suo arrampicarsi sulla rete, quel suo saluto nazista, quei bengala sparati sul campo di Marassi, quel caos totale che ha portato alla sospensione della partita di qualificazione agli Europei. ”Non immaginavo di provocare un incidente diplomatico tra Serbia e Italia – ha detto – perchè noi non contestavamo l’Italia, un paese bellissimo e che ci piace. E non volevamo nemmeno far sospendere la partita, siamo rimasti molto meravigliati di questo”.
Difficile credergli ma lui, ha detto il suo avvocato d’ufficio Gianfranco Pagano, ”sembra esserne assolutamente convinto. E ha dato la colpa di quello che è successo all’alcol e alle birre bevute prima della partita. Ha detto che la situazione gli è scappata di mano”. Fatto sta che adesso Ivan, contraddicendo se stesso più volte, dice che ”no, non è stata una protesta poilitica”. Ma poi aggiunge: ”Era diretta alla Federcalcio Serba” ma anche ”a Stojkovic, portiere della Nazionale serba, che ha tradito lo Stella Rossa” per il Partizan.
Una minaccia, che ha convinto il Partizan ad allenarsi a porte chiuse e a mettere in forse la partita Stella Rossa – Partizan Belgrado, derby previsto per il 23 ottobre. Ma la protesta non era diretta all’Italia alla quale, ancora una volta, Ivan chiede scusa. ”Non volevamo creare tutto questo casino – ha detto – Noi siamo tifosi, non politici. Non abbiamo nulla a che vedere con le Tigri di Arkan, il nostro cuore è per la Stella Rossa”.
Il Footbal club Stella Rossa di Belgrado conta su un numero impressionante di ultras. Quando inizia la guerra con la Croazia, Arkan (che ha ricevuto dai vertici Jugoslavi l’ordine di organizzare le milizie di volontari) va a pescare proprio nelle file degli ultras le sue Tigri: tremila uomini con una formazione paramilitare che devono operare sulla frontiera serbo-croata. Arkan è stato assassinato nel 2000. Ma le sue “Tigri” ci sono ancora tra gli ultranazionalisti serbi.
Ivan nega che lui e gli altri tifosi siano animati da una qualsiasi passione politica. Poi però aggiunge: ”Ci sono cose che dirò solo al giudice domani”. Venerdì, giorno in cui il gip di Genova De Matteis deciderà se accettare o no la sua richiesta di patteggiamento (2 anni e espulsione immediata dall’Italia) oppure confermare l’arresto e andare al processo facendo rischiare a Ivan e agli altri suoi sette compagni fino a 4 anni di reclusione con ipotesi di aumento, vista la legge Pisanu.
Ivan, operaio edile che lavora in un piccolo paese della Serbia senza contratto, papà deceduto sei mesi fa, single, vive con la mamma. ”Non sono il capo di nulla” ha detto all’avvocato mentre guarda con gli occhi sgranati le sue foto sui giornali. ”Eravamo solo ubriachi – ha detto – mai avrei pensato che avrebbero sospeso la partita per noi”.