ROMA – Nerone, lo spettacolo del Teatro Quirino di Roma si potrebbe definire “senza tempo e nel non-tempo”. Lo spettacolo “Nerone, duemila anni di Calunnie” è in scena al Teatro Quirino di Roma fino al 31 gennaio 2016.
“Nerone ha bruciato Roma, ha ucciso la madre, la moglie, il fratello. È l’anti-Cristo, ama il popolo. È pazzo!”.
Sentiremo più volte nel corso dello spettacolo queste parole ripetute dal coro fuori campo mentre il sipario si apre e scopre l’Imperatore che, disteso sul suo triclino nella sua Domus Aurea, è tormentato dal fantasma della madre Agrippina.
Poi la scena di una festa: in un angolo una ballerina vestita di bianco, gente che ride, che beve, in atteggiamenti lascivi, efebi che passeggiano e si offrono agli invitati, senatori che parlano di politica, un mimo/dj alla consolle e, al centro, Nerone, l’Imperatore.
Gli attori compaiono in abiti moderni, donne in abito da sera, uomini in completo grigio, in doppiopetto o in smoking, si muovono con disinvoltura nella millenaria storia di Nerone.
Eppure non c’è stridore, non ci sono forzature.
I personaggi si muovono e parlano in maniera tale che la storia di Nerone diventa una storia del nostro tempo: una storia di potere (e dei suoi intrighi) e di poteri, di governanti e di governati , di politica, di corruzione, di sostenitori e di delatori, di traditori che diffondono la calunnia che Nerone abbia incendiato Roma e che uccide meglio che con il veleno perché continua ad uccidere oltre la morte.
Uno spettacolo che prende e sorprende.
Nelle due ore di spettacolo il pubblico è rimasto attento e rapito, all’uscita il viso delle persone aveva un’espressione soddisfatta.
In più di un commento tra gli spettatori che avevano gremito il teatro ricorreva la parola “eccezionale” e l’espressione “veramente bello”.
La scenografia è ricca di effetti delicati, di ombre e di trasparenze, le musiche “somministrate” sapientemente dal DJ/mimo recitano anch’esse, quasi fossero uno dei personaggi.
Nel testo sono riscontrabili anche diverse analogie con la realtà politica attuale e non manca qualche “malizioso” riferimento– “Stai sereno” (Come non pensare a Renzi? La platea ha infatti prontamente reagito col riso alla battuta) – dice Seneca ad Otone scandalizzato perché Nerone vuole fare “un contratto con i cittadini” (ricordate il contratto con gli italiani di Silvio Berlusconi?).
E come non notare la recitazione pacata ed equilibrata di tutti i personaggi, di un Seneca in completo grigio che muore dignitosamente dopo essersi tagliato le vene su comando di Nerone, di un Rufo che si serve del pettegoliere Svetonio per diffondere la calunnia, e soprattutto di un Nerone che è lontano anni luce da quel declamare pomposo cui siamo abituati nel teatro classico drammatico italiano e che fa piuttosto pensare all’Antonio del film Antonio e Cleopatra interpretato da Richard Burton e Liz Taylor.
Il Nerone che esce dallo spettacolo di Edoardo Sylos Labini liberamente ispirato all’omonimo testo di Massimo Fini è un Nerone umano e solo, vittima di un potere che fa diventare nemici quelli che erano amici, che gli mette contro lo stesso popolo che lui non voleva governare ma per il quale voleva governare e che prima lo osanna e poi lo vuole morto.
Non il mostro che la storia ci ha descritto ma un Nerone che “voleva essere Dio” ma cui è toccato uscire di scena “come un qualunque attore”.