Digitale terrestre, troppi senza segnale: legge Gasparri smentita

Digitale terrestre, troppi senza segnale: legge Gasparri smentita

ROMA – Digitale terrestre, troppi senza segnale: legge Gasparri smentita. Ci siamo abituati a considerare il digitale terrestre come una prerogativa acquisita per tutti gli utenti italiani che hanno pagato il canone Rai. Un articolo della Stampa di di Giuseppe Bottero Torino ci aggiorna sui disservizi che di fatto pregiudicano “il diritto, a fronte del pagamento del canone, di ricevere il segnale tv secondo gli standard previsti dal contratto di servizio”.

La citazione è tratta dalla class action contro la Rai in merito al presunto disservizio legato al segnale del digitale terrestre lamentato da 123 famiglie della provincia di Ravenna. Lo switch-off, il passaggio dal’analogico al digitale non si è completato. Col risultato di troppi schermi completamente oscurati perché se il segnale non arriva più che bene il canale non si vede per nulla a differenza delle vecchie antenne.

A Marina di Ravenna hanno stretto i denti per tutta l’estate. Poi, dopo la prima giornata di campionato trascorsa senza aver visto i gol in tv, è esplosa la rabbia. Teramo per tre mesi ha rinunciato al rito del Tg1 delle 20: il gran caldo aveva fatto «impazzire» le frequenze. Due istantanee dall’Italia digitale, che a un anno dalla transizione – l’ultimo segnale analogico è stato spento dodici mesi fa in Sicilia – ancora si dimena fra schermi neri, immagini che ballano, canali fantasma. La collera per la tv che non c’è fa passare in secondo piano tutti i vantaggi: immagini più nitide, audio migliore, un ampliamento dell’offerta che ormai attrae un quarto degli ascolti totali.

Switch off mancato che offre qualche ragione per constatare come minati alla radice i presupposti giuridici della Legge Gasparri. Retequattro di Mediaset e RaiTre potevano evitare la cacciata sul satellite come imposto dai giudici della Corte Costituzionale perché il digitale terrestre avrebbe realizzato quella maggiore offerta di canali a garanzia della pluralità informativa. Ma la “scarsità di spazi” non è affatto scongiurata da “una transizione costosa – almeno 400 milioni di euro – e un po’ lacunosa, gestita in fretta e a tappe forzate” (La Stampa).

Dagli uffici romani del Codacons Mauro Antonelli racconta la via crucis dei telespettatori: il segnale troppo debole per garantire la ricezione su più televisori all’interno della stessa casa, gli apparecchi da rottamare, le difficoltà nel memorizzare i canali nell’ordine voluto. «E per i cittadini di quei comuni che non hanno potuto usufruire del complicato finanziamento statale, o che non hanno potuto auto-finanziare il proprio piccolo switch-off, ancora oggi l’unica alternativa per continuare a vedere la tv è stata quella di installare parabola e decoder per la piattaforma alternativa Tivù Sat» prosegue Bayre. Costo medio: 150 euro. (La Stampa, Giuseppe Bottero Torino)

 

 

Published by
Warsamé Dini Casali