ROMA – Dopo 15 anni di contenzioso in tribunale, il Gabibbo, il pupazzo rosso inviato del tg satirico di Canale 5 ‘Striscia la notizia‘, è salvo. La Corte di Cassazione ha decretato che non è un plagio della mascotte sportiva ‘Big Red‘ della Western Kentucky University, che tramite le società che ne detengono i diritti di immagine, nel 2002 aveva fatto causa a Mediaset e a Fininvest chiedendo di non mandarlo più in onda, pena un risarcimento di 100 mila euro, perché somigliava troppo al proprio personaggio portafortuna.
Nel 2007 il tribunale di Ravenna dichiarò insussistente la lamentata contraffazione di Big Red; giudizio confermato poi nel 2011 dalla Corte d’Appello di Bologna che ha ritenuto che la mascotte, ideata da Ralph Carey, uno studente dell’Università, non fosse così originale da meritare la protezione del diritto d’autore, rilevando in ogni caso “differenze estetiche” e di “personalità” tra i due pupazzi – uno un tifoso di una squadra di pallacanestro, l’altro un giornalista – tali da escludere che il secondo fosse una contraffazione del primo.
La prima sezione civile della Cassazione, che con la sentenza n. 503 depositata oggi ha rigettato i ricorsi degli americani, ha sottolineato come i giudici di merito abbiano effettuato una valida valutazione comparativa tra Big Red e altri personaggi di fantasia, ritenendo che egli stesso non fosse poi così originale, assomigliando ad altri “goffi umanoidi” dei cartoni animati, tanto da non raggiungere, come hanno scritto i giudici di Bologna, “la soglia della creatività minima richiesta per la tutela”.
Oltretutto, evidenzia ancora la Cassazione, “la Corte di merito ha completato la propria motivazione rilevando che, anche se in ipotesi Big Red fosse stato suscettibile di protezione ai sensi del diritto d’autore, in ogni caso Gabibbo non si sarebbe potuto considerare una contraffazione stante gli elementi di diversificazione in esso presenti”, dalla forma degli occhi all’assenza delle scarpe da basket. L’Università e Ralph Carey, che avevano promosso i ricorsi, sono stati quindi condannati a pagare le spese del giudizio.