Giornata agitata in Rai: l’incredulità si impastava con la preoccupazione. Per le nuove nomine? No, qualcosa di più contundente turbava la routine, in fondo anche il cambio di direttori in Rai è routine? Allora ansia per l’efficacia dei nuovi palinsesti che tanto nuovi non sono visto che l’intera programmazione è la fotocopia di quella della scorsa stagione? No, il ripetersi e riproporsi sempre uguale dà a chi lavoro in Rai un rassicurante e tiepido torpore.
Allora qualche dubbio sugli effetti concreti del passaggio al digitale terrestre che per ora si sta traducendo in un piccolo ma sincero calo di ascolti? Nemmeno, “acqua” ancora una volta, nessuno di questi problemi e sentimenti è il “fuoco” che serpeggia e ustiona i corridoi, gli uffici e le relative chiacchiere. Il fantasma che si aggira in Rai è il licenziamento, licenziamento per note spese false, gonfiate, inventate.
Il direttore generale Mauro Masi e il capo del personale Luciano Flussi ne hanno licenziati sei. Nero su bianco una lettera di licenziamento a sei “anziani” della Rai e della nota spese. Infatti si legge nella lettera di “reiterate” richieste di rimborso senza fondamento, anzi con il trucco. Si tratta di sei esperti, persone che gestivano fino ad ieri strutture di lavoro: realizzazione di ponti via satellite e simili. Andavano in trasferta e realizzavano, oltre ai “ponti”, anche un bel mazzo di ricevute: ristoranti, alberghi e spese varie che però non corrispondevano a verità . Qualcuno aveva perfezionato il metodo fino ad inventare una falsa partita Iva. Dopo mesi e anni, l’azienda si è stufata. E che l’azienda abbia a lungo e troppo sopportato è scritto anche nelle parole di uno degli avvocati difensori dei sei licenziati: «Nella inchiesta dell’azienda c’è un fondamento di verità , ma il licenziamento è una sanzione sproporzionata».
Alt, fermo immagine, un passo indietro: ammettere quel «fondamento di verità » è ammettere quel che tutti sanno: il gonfiaggio della nota spese è prassi consolidata e maggioritaria in Rai. Ed in effetti il licenziamento appare «sproporzionato». Se lo si proporziona alla diffusione del fenomeno senz’altro: se licenziano tutti quelli che l’hanno fatto la Rai risolve il problema dei precari e deve procedere subito ad assunzioni per non restare mezza vuota. «Sproporzionato» anche rispetto alle regole finora adottate: al massimo un rimprovero, alle bruttissime una sospensione di un paio di giorni. Che non si andasse oltre il sindacato, anzi i sindacati (in Rai ce ne sono a decine) hanno sempre vigilato. Quindi i sei non negano, proprio non possono. Invocano però una sorta di “così fan tutti”. E i “tutti” o quasi, tecnici, giornalisti, impiegati, ammnistrativi, osservano increduli e un po’ preoccupati. Preoccupati solo un po’ perchè in fondo convinti che i sei se la caveranno con una robusta riduzione della pena. Perchè, appunto, se in Rai si licenzia per una nota spese gonfiata, allora è la fine del mondo, la fine della Rai. E non soltanto, a ben guardare, della Rai.
In Italia è una professione, un’arte, un virtuosismo. Fabbricare fatture e note spese fa quasi parte della professionalità di chi lavora per aziende pubbliche e non solo pubbliche, l’abilità e l’attitudine alla bisogna sono iscritte nel cursus honorum di manager e grandi firme. Da decenni la nota spese gonfiata è un’integrazione al reddito. Se si vuole diminuirla, tagliarla, smagrirla, passi. In fondo è tempo di crisi. Ma se si vuole eliminarla e punirla, allora si cerca la lite, la provocazione. “Non passeranno, alla fine rinunceranno…”. Così si consolavano e confortavano in Rai aggiungendo che il paese, quello “reale”, li guarda e tifa per loro: chi non ha “aggiustato” in vita sua una nota spese? Mica possono licenziare quasi tutti in Rai e quasi tutti gli italiani…