La raqs sharqi è sempre stata controversa nella cultura del mio Paese. Gli egiziani l’adorano: Tahia Carioca, una leggendaria danzatrice, dichiarò che “alle feste di nozze appena parte la musica le ragazze ballano come matte”. Eppure la danza del ventre, ricca com’è di allusioni, è simbolo di volgarità e vita dissoluta. Dire a qualcuno “figlio di una danzatrice del ventre” è un insulto. Nel 1834 Muhammad Ali prese misure per “preservare” (a modo suo) la morale ordinando di arrestare ed esiliare nell’Alto Egitto le danzatrici e le prostitute. Prescrisse anche 50 frustate per qualunque donna sorpresa a ballare per strada. Sotto la presidenza di Nasser, il responsabile della supervisione e censura delle arti deliberò che “le danzatrici di raqs sharqi non sono autorizzate a fare le seguenti cose: stendersi sulla schiena, stendersi per terra in modo volgare e tale da eccitare, o effettuare movimenti rapidi tali da causare eccitazione. Le cosce non devono essere del tutto aperte quando la danzatrice è stesa per terra. Non devono esserci movimenti sussultori in su e in giù”. Le danzatrici forse risero di queste regole: rispettarle avrebbe voluto dire cambiare mestiere.
Ancora oggi serve un permesso del governo, e una certa ipocrisia rimane. Se da un lato il governo reprime le danzatrici in nome della moralità pubblica, dall’altro le usa per fini politici. Dopo la guerra del 1973 con Israele, Kissinger faceva la spola in vista degli accordi di Camp David; e l’Egitto faceva in modo che la sua danzatrice preferita, Nagwa Fouad, si esibisse per lui a porte chiuse al Cairo.