ROMA – Venere nera è prima di tutto un film sullo sguardo: gli occhi occidentali che ossessivamente spogliano, toccano, osservano, scrutano il corpo di questa donna nera che, all’inizio dell’Ottocento, venne portata dal suo padrone dal Sudafrica in Inghilterra e da qui successivamente in Francia. E’ la storia, vera, di Saartjie Bartman: arrivata a Londra dove si è imposta come fenomeno da baraccone, esibita nei salotti, nei circhi, in gabbia. Finita anche a far la prostituta.
Cosa aveva di speciale qusta “Venere ottentotta”? Delle natiche sproporzionate in grandezza, come spesso accade tra le donne della sua tribù, la Khoikhoi. E anche una vagina più grande del normale, anche se la donna durante le esibizioni la copriva con uno straccio. Divenne un caso celebre, venne studiata da medici, analizzata, misurata. Poi passò la moda della Venere ottentotta (così chiamata perché appartenente alla tribù degli ottentotti), Saartjie venne venduta a un francese e a Parigi finì per fare la prostituta per mantenersi, morendo a soli 25 anni di vaiolo.
Questa la storia della Venere nera e in buona misura anche la trama del film del franco-tunisino Abdellatif Kechiche, regista di film come Cous Cous. Il film aveva già scandalizzato il pubblico del festival di Venezia e venerdì 17 arriva anche nelle sale italiane. Chi l’ha visto, come il critico del Fatto Quotidiano Gianni Canova, parla di un film a tratti disturbante, proprio per la morbosità, tutta occidentale, dello sguardo degli europei verso il diverso, lo strano, il “freak”.