Abortire se si è vittima di uno stupro, con l’assenso dell’autorità religiosa. Non si tratta però di un’apertura in materia sessuale della Chiesa cattolica: è una fatwa emanata dall’imam Mohammed Said Tantawi, massima autorità sunnita al Cairo. Tantawi si era già espresso a favore dell’aborto nel 2004. Questa volta ha voluto circoscrivere le circostanze della liceità dell’interruzione di gravidanza: l’aborto è ammesso solo quando una donna, che goda di una buona reputazione, è vittima di uno stupro per strada o mentre va a scuola, in un tempo limite di tre mesi dopo la violenza.
La proposta di un limite di tre mesi non è casuale: per il Corano solo dopo il quarto mese il feto riceve l’infusione dell’anima da parte di Dio.
In genere l’Islam è contrario all’aborto poichè rappresenta un tradimento della fede in Dio. Tuttavia esistono sfumature e deroghe nell’interpretazione della questione. Già in passato gli ulema di Bosnia e Algeria avevano concesso alle donne stuprate durante le stagioni di guerra di abortire quando violentate. I Wahabiti, l’ala più conservatrice dell’Islam, proibiscono sempre l’aborto ma ammettono l’uso di farmaci anticoncezionali entro i primi 40 giorni della gravidanza. La legge islamica inoltre fa prevalere i diritti della madre su quelli del nascituro e in Iran è consentito l’aborto di feti malati di Talassemia.
L’ultimo pronunciamento cattolico sul tema è avvenuto in via indiretta ma chiara: la scomunica chiesta dal vescovo brasiliano a medici, genitori e a chiunque avesse favorito l’aborto di una bambina brasiliana violentata. Poi c’era stato un ripensamento della stampa cattolica, in nome della carità umana, ma il vescovo non ha cambiato idea.