Per Enrico Letta il bipolarismo, almeno nella versione italiana, è finito. L’elettorato non si divide tra destra e sinistra, ma tra progressisti, moderati e populisti.
E la ricetta del buon governo, spiega l’ex ministro del governo Prodi, è unire moderati e progressisti, in un patto che escluda la Lega, da una parte, Di Pietro e i comunisti dall’altra. È necessario, quindi, un nuovo centro-sinistra, con la C maiuscola: bisogna guardare all’Udc e oltre, per uscire dalla “riserva indiana” dove si è cacciato il Pd. Citando il politologo francese Marc Lazar, Letta spiega come l’elettorato del Pd risulti praticamente lo stesso del Pci di trent’anni fa. Così si è condannati in eterno alla sconfitta.
Enrico Letta, nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera, tira le somme di una stagione politica che con l’addio di Veltroni, si è definitivamente conclusa. Lo fa anche attraverso un libro, che uscirà tra una settimana e che già dal titolo rivela il debito culturale verso Nino Andreatta: “Costruire una cattedrale; il rifiuto del «presentismo»” invita a guardare avanti e superare l’angusto recinto del quotidiano. Offre come esempio la vitalità di Sarkozy e lancia un allarme per i 4 milioni di piccoli imprenditori lasciati soli davanti al bivio tra chiudere e tener duro.
Mentre loda l’impegno di Franceschini nel suo difficile ruolo di traghettatore, considera cruciali i prossimi mesi, con le elezioni europee alle porte e poi le amministrative. Il segreto per vincere? Farla finita con «la mancanza di ambizione a governare» e soprattutto non vergognarsi più di guardare ai moderati.