di Pierpaolo Merolla
Spesso i politici e i media nazionali lamentano l’insufficiente riconoscimento del ruolo di «grande Paese fondatore» dell’Italia nel contesto dell’Unione europea, quasi sempre senza analizzarne le cause. Tra queste, penso che una posizione dominante vada attribuita al ruolo di comodo che è riservato dalla politica italiana ai posti di rappresentanza nelle Istituzioni europee rispetto al contesto nazionale. Ne è recente esempio — al di fuori di qualsiasi giudizio sulle riconosciute competenze dell’interessato— le dimissioni da vice-presidente della Commissione europea dell’onorevole Frattini per riprendere le funzioni di ministro degli Esteri già ricoperte nel precedente governo Berlusconi. Quest’ultimo esempio ha riportato l’attenzione degli ambienti comunitari sui precedenti dell’onorevole Malfatti e dell’onorevole Ripa di Meana che lasciarono anzitempo i loro incarichi alla Commissione europea— l’onorevole Malfatti addirittura quello di presidente —per riprendere il loro ruolo nella politica nazionale. Ancora più numerosi e sorprendenti sono le esperienze registrate in sede di Parlamento europeo: mi limiterò a ricordare i casi del giornalista televisivo Santoro, eletto nelle liste del centro-sinistra a causa del suo allontanamento dalla Rai (e dimessosi non appena si è resa possibile la riassunzione) e del direttore del Foglio Ferrara, eletto per il centro destra, che in un’intervista si vantò di non aver mai partecipato ai lavori del Parlamento europeo. E questo malgrado gli alti stipendi attribuiti ai parlamentari italiani a causa del livello delle loro indennità nazionali, abbiano recentemente obbligato il Parlamento europeo ad un grosso sforzo finanziario al fine di avvicinare i trattamenti dei parlamentari degli altri Paesi dell’Ue a quelli dei nostri connazionali. Lo stesso presidente Prodi— si ricorda— fu candidato dall’Italia alla presidenza della Commissione per «allontanarlo» dalla politica nazionale dopo la caduta del suo governo.