Anche il referendum Fiat ha contribuito a dividere l’Italia, purtroppo in senso verticale, tagliando dentro le classi, soprattutto dentro la classe delle persone a basso reddito, costrette e abituate a vivere nei limiti salariali in cui vivono anche gli operai della Fiat.
Non è divertente, è vita dura, è lavoro duro, ma questa condizione è comune alla maggior parte degli italiani, che sono decine di milioni, mentre gli operai della Fiat sono migliaia. Non serve dire agli altri milioni che la lotta è anche per loro, perché non ti credono, perché ti chiedono: ma i diritti degli altri milioni, le loro pause, i loro stipendi chi li ha difesi? Forse è una guerra fra poveri, ma l’effetto non è stato dei migliori. Avere mobilitato l’Italia per gli operai della Fiat potrà anche essere una causa nobile, ma la gente comune si chiede perché nessuno si è mobilitato per loro.
C’è poi anche l’eterno ritornello che piace tanto ai demagoghi di destra e di sinistra dei tanti soldi che la Fiat ha avuto dallo Stato, che fa un po’ il paio con gli aiuti dello Stato agli editori. In questo secondo caso si confondono le forme di editoria variamente assistite, come le cooperative e i giornali di partito, spesso abbinati a giornali di gruppi industriali (è il caso della Stampa che penetra sul mercato genovese in vendita congiunta con il Corriere mercantile, e questo è un assurdo perché il giornale della Fiat fa concorrenza al giornale locale con i contributi statali) con editori che stanno sul mercato, ricevono contributi a compensazione di servizi pubblici inefficienti come le poste, ma versano allo Stato metà dei loro profitti sotto tasse di vari titolo e natura.
Nel caso della Fiat, è più che giusto che lo Stato abbia dato del denaro per indurla a insediarsi in località del Meridione dove nessuna logica industriale lo avrebbe giustificato, ma è anche bene ricordare il fiume di denaro che nel corso degli anni la Fiat ha versato allo Stato come tasse, imposte e simili.
Ma non sono certo i contributi statali il punto centrale, quanto l’incapacità della sinistra, sindacale, politica e giornalistica, di concepire il confronto al di fuori della lotta, dello scontro, della chiusura assoluta.
Questo vale per la Fiom ma anche per la Cgil, tra di loro sembra prevalere lo spirito di Masada, quel gruppo di indomabili eroi della resistenza ebraica alla prepotenza romana, tutti morti, suicidi, nella fortezza al sommo dell’omonima montagna. Un atto di eroismo può essere sublime e passare alla storia, ma non sempre porta conseguenze positive, ti salva l’anima, ma il mondo va avanti lo stesso, un po’ peggio.
Un po’ di anni fa, l’Italia fu mobilitata da una lotta che portò a sfilare nelle strade di Roma, si disse allora, un milione di persone, per impedire la modifica di una norma dello Statuto dei lavoratori, l’articolo 18, che pochi ricordano ancora, di cui pochi ricordano la sostanza. Fu un atto di eroismo, impedì forse l’effetto domino sull’insieme della legge che tutela i diritti dei lavoratori italiani, ma chiuse qualsiasi possibilità di dialogo fra le parti sociali in modo trasparente, favorì alla fine l’ulteriore dilagare della economia reale, quella che si arrangia senza regole, perché le regole scritte nel marmo portano solo alla fuga.
La lotta, i cortei, le bandiere, i tamburi, se non fosse un dramma potrebbe apparire una festa. Il protagonista di quella magnifica giornata di lotta, Sergio Cofferati, allora a capo della Cgil, nel frattempo è uscito di scena, in una progressiva involuzione di ruolo, probabilmente accompagnata da una sua personale evoluzione di vita e di idee; ma questo è di sicuro bene per lui, ma ci ha lasciato tutti un po’ più ingessati, più isolati dal resto del mondo.
Non è nemmeno giusto pensare che poco importa, perché per la sinistra più coerente quel che conta è salvaguardare i diritti, che sono valori assoluti e per sinistra pragmatica e centro alzare le spalle sapendo che comunque le cose si aggiustano in qualche modo, con i robot, con gli stranieri, che è più comodo aggirare i problemi, evitare gli scontri, tutto si aggiusta, l’economia cresce, quelli restano nella riserva indiana, peggio per loro.
L’economia cresce, ma a ritmi inferiori perché i nodi restano e diventano un groviglio e tutti ci incespicano e prima o poi finirà che tutto sarà spazzato via, senza una trattativa, senza una contropartita.