I due episodi appena riferiti, distanti nel tempo ma vicini dal punto di vista geografico, fanno da sfondo al dramma che si ripete migliaia di volte al giorno, sempre uguale nella multiforme diversità, in ogni angolo d’Europa: quello che ha per attori migliaia di ladri e ladruncoli e per potenziali vittime ciascuno di noi.
La lista è infinita ed in alcuni casi è un monumento alla creatività: quel napoletano che storce lo specchietto all’auto che l’ingegnere torinese guidava con spocchia coloniale, costringendolo a mettere fuori il braccio per raddrizzarlo, tra insulti razzisti e umilianti scuse, giusto il tempo di strappargli dal polso un immenso Breitling che l’incauto sfoggiava; o quell’ucraino che intercetta un turista straniero in contemplazione davanti al teatro Gogol di Kiev, gli fa trovare in mezzo ai piedi una mazzetta di banconote, lo lusinga dicendo che faranno a metà del bottino fino a quando arriva un furibondo complice che rivendica la proprietà del denaro. I soldi sono miei, no sono miei, allora fammi vedere i tuoi: con lo scopo di vederli, intascarli e fuggire via.
La lista è infinita e non è tutta divertente e solo una minima parte raggiunge il pubblico: furti milionari, rapine in casa nel cuore della notte, ogni tanto col morto. Difficile stabilire cosa contribuisca di più al fastidio collettivo, se i casi più brutali e violenti oppure i più sciocchi, modesti, quasi legittimati da una superiore indulgenza da benestanti. Cosa c’è di criminale in quel povero zingaro che non sei ancora sceso dalla macchina e tende la mano e un euro non basta?
Nulla, specie se uno non ha mai visto quel bellissimo film di Emir Kusturica, Il tempo dei gitani, che, già nel 1989 spiegava la connessione tra carovane di zingari, furti e racket. Che poi tutto il male del mondo non sia attribuibile a quei poveretti non sembra a molti ragione sufficiente per girarsi di là.
Purtroppo la soluzione, ammesso che ce ne sia una, al problema della microcriminalità, spesso brodo di cultura di quella macro, non è certo favorita dalla criminalizzazione degli zingari, quasi come se essere rapinato o peggio da un connazionale lo accetto, ma che non si permetta uno straniero: sul crimine c’è una esclusiva italiana.
La verità probabilmente è che soluzione non ce n’è, perché il benessere è come la bassa pressione, attira nuove correnti, e non tutte sono benefiche. E allora meglio farsi trasportare dalle parole, come la polemica sugli zingari in programma sugli schermi della politica europea, in un turbine in cui la propaganda prevale. Sarkozy porta la bandiera dei duri, Berlusconi gli si accoda, tanto parlare non costa nulla.
Poi si scopre che tutti i capi di governo europeo, i quali, prima che governanti, sono leader di partito la cui stella polare sono solo i voti, provano a pattinare sul ghiaccio tra le due lame, quella di chi per principio è per una certa dose di indulgenza e di umana solidarietà e quella altrettanto e forse ancor più tagliente di chi soffre il quotidiano stillicidio della microcriminalità, o anche solo il costante ineludibile fastidio dell’accattonaggio molesto e dà loro la faccia degli zingari e l’accento inconfondibile dell’est europeo.
