ROMA – Tasse. La casa “bancomat” dei Comuni. Da una parte gli effetti duraturi della crisi, dall’altra uno Stato che non taglia le spese improduttive quanto dovrebbe e quando lo fa riduce i trasferimenti agli enti locali cui lascia volentieri la parte del cattivo esattore: è questa la morsa entro cui si dibatte il contribuente italiano, questa la palude che blocca la crescita. A farne le spese, la casa: cespite sicuro, bancomat di ogni governo. La progressione dell’aumento del fisco sugli immobili è al centro delle riflessioni di Alberto Krali su L’Eco di Bergamo.
Nel 2011 le imposte sul mattone erano di 32 miliardi; nel 2014, tre anni dopo, sono salite a 42 miliardi di euro. La cosa che colpisce è il costo del denaro: non è mai stato così basso nella storia d’Italia. Centocinquant’anni fa, nel 1861, era del 5%, adesso è calato al 3%. Un miracolo che solo le iniezioni di denaro della Bce hanno reso possibile. Eppure tutto è fermo o quasi.
Ad aprile, annuncia Bankitalia, i prestiti al settore privato sono scesi dell’1,4 %. A dispetto di tutte le aspettative il rilancio dell’economia italiana non si vede all’orizzonte. Le imprese chiedono meno finanziamenti alle banche e, come le famiglie, stanno a guardare. Senza il segnale chiaro che lo Stato molla la presa e quindi offre margini di spesa per i consumatori, l’offerta Quantitative easing della Bce sino al 2016 andrà sprecata.
C’è un solo modo per il governo per rimettere in moto l’economia: rendere possibile una riduzione significativa delle imposte con un taglio alle spese improduttive. La riluttanza dei governi ad abbassare la spesa pubblica fa però capire che per i politici toccare quei fili significa rischiare di rimanere fulminati. Abbiamo avuto con l’esecutivo Monti la commissione tagli capitanata dall’economista Francesco Giavazzi, seguito da Cottarelli con il governo Letta; adesso Renzi ha incaricato i suoi uomini di fiducia guidati dall’economista Gutgeld, dal nome ebreo-tedesco che suona di buon auspicio perchè significa «buon denaro». Ma il risultato è il nulla. (Alberto Krali, L’Eco di Bergamo).