
ROMA – Ecco un film italiano in grado di far gridare al capolavoro. L’uomo che verrà di Giorgio Diritti è una pellicola emozionante capace di evitare le prevedibili ricostruzioni del Secondo conflitto mondiale grazie ad una rilettura storica scevra da qualsivoglia strumentalizzazione politica. Al Festival di Roma, questo autunno, L’uomo che verrà aveva ottenuto con merito il Gran premio della Giuria e del Pubblico conquistando la critica per il suo esemplare rigore stilistico e morale.
Il film, ambientato nelle colline bolognesi vicino a Marzabotto, descrive la vita della famiglia contadina Palmieri, dall’inverno 1943 all’autunno 1944, mentre infiammano gli scontri tra i nazisti – decisi a difendere la Linea gotica – e i partigiani sempre più impegnati in azioni di guerriglia contro gli occupanti. Un panorama desolante dove i civili cercano di sopravvivere, con fiera rassegnazione, nonostante il dramma della guerra diventi ogni giorno più opprimente. E così la vita dei personaggi descritti da Diritti non può che continuare: Lena (Sansa) è incinta, sua cognata Beniamina (Rohrwacher) si ritrova a lavorare a Bologna pur di racimolare qualche soldo mentre il marito Armando (Casadio) è lacerato dai vincoli della mezzadria e le vessazioni dei fascisti.
Ma l’occhio con cui il regista sceglie di mettere in scena questa tragedia è quello della giovane Martina (Zuccheri Montanari), la figlia di Lena e Armando, diventata muta dopo la morte del fratellino. E’ lei la “cinepresa vivente” attraverso la quale l’autore riprende i comportamenti delle truppe naziste, le azioni dei partigiani, le vittime innocenti, e soprattutto la lenta ed inesorabile intrusione della guerra nella vita di tutti i giorni. Il figlio di Lena – l’«uomo che verrà» – da cui prende nome il film – nascerà nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1944. Una data non casuale: è il giorno – passato alla Storia come la strage di Monte Sole (Marzabotto è infatti solo uno dei comuni della zona, quello più conosciuto) – in cui i nazisti rastrellano più di ottocento persone che saranno uccise senza alcuna giustificazione.
Ma nonostante la disumana tragedia l’autore non cede alla volontà di spettacolarizzazione del dramma. Disinteressato alla suspence, il regista è intenzionato ad offrire una cruda riflessione sull’insensatezza della guerra. Senza scadere nel pacifismo irrealistico di tante pellicole incentrate sulla ricostruzione del Secondo conflitto mondiale. La bravura di Diritti consiste infatti nell’avvicinare intimamente lo spettatore alle vicende dei personaggi grazie ad una meticolosa ricostruzione del loro vissuto quotidiano. Fondamentale, in proposito, la scelta di far parlare tutti i personaggi in dialetto, mescolando attori professionisti ad altri esordienti (vedi la piccola Zuccheri Montanari).
Azzerando luoghi comuni e slanci retorici, Diritti opta per un solido impianto narrativo fondato esclusivamente sulla forza della realtà. Il risultato è un film duro, appassionante, come non se ne vedevano da tempo in Italia. Semplicemente imperdibile.
