Ecco ci siamo, il consueto Cinepanettone natalizio è uscito nelle sale italiane, stavolta si svolge a Beverly Hills dove la banda De Sica si trova immischiata in una serie di intrecci amorosi con le consuete gag fatte di doppi sensi e parolacce nazionalpopolari. Tutto normale, la gente ride, il film piace e stabilisce il solito record d’incassi. Stavolta però spunta una polemica: è troppo volgare.
Christian De Sica lo sa, lo ammette e in un’intervista al Corriere della Sera analizza gli incassi, il perchè agli italiani piace tanto questo genere di film e dà un calcio alle polemiche: «Mi fa piacere. Mi fa ancora più piacere il dato sugli incassi di Santo Stefano: 3 milioni di euro. In un solo giorno, più di due film nell’intera stagione. Va avanti così da 26 anni. E sa di chi è il merito? Mio».
Eccessivo definire “Natale a Beverly Hills” un film “d’essai”. «A parte che il ministro Bondi ha chiarito che non è proprio così, è evidente che definire “Natale a Beverly Hills” un film d’essai è una sciocchezza. – spiega De Sica – Se il produttore ha chiesto soldi presentandolo come tale, ha sbagliato. I film di cassetta non hanno bisogno di finanziamenti pubblici. Se ho capito bene, però, non si tratta di aiuti ma di un credito d’imposta sugli incassi, da reinvestire in film artisticamente più complessi. Perché, vede, il famigerato cinepanettone mantiene l’intero cinema italiano Mi rendo conto che è un po’ cafone dirlo. Però è un dato di fatto. A parte un paio di capolavori, il resto dei film raffinati fa incassi penosi. Le opere dei registi e degli attori premiati dalla critica non le va a vedere nessuno».
Poi una battuta su Fini che del film ha fatto una questione politico-culturale per la troppa volgarità . «Ma se Fini ha appena detto “stronzo” in tv! Cosa vuole da me? Il punto è che il film di Natale è lo specchio dell’Italia di oggi. Cambia come cambia il Paese, in particolare la sua borghesia. Quarant’anni fa mio padre Vittorio faceva “Pane amore e fantasia”, vale a dire il “Natale a Beverly Hills” dell’epoca. Ma quarant’anni fa i politici non dicevano le parolacce al tg, gli opinionisti non urlavano, i giornali non titolavano ogni giorno sui trans. Detto questo, io sono d’accordo con le critiche di Mereghetti, di Galli della Loggia, di Paolo D’Agostino».
De Sica però non si sbilancia quando gli viene chiesto il suo orientamento politico. «Io sono nazionalpopolare. Un attore davvero amato non dovrebbe dichiarare il proprio voto: appartiene a tutti. Deve essere ermafrodito, senza un’appartenenza definita. Ho avuto un’educazione di sinistra perché sono figlio di Vittorio De Sica, il regista di “Umberto D”, che comincia con uno sciopero, e sono figlioccio del grande Cesare Zavattini, che quando a 16 anni gli chiesi quale libro leggere mi indicò “Il Capitale” di Marx. Purtroppo, l’intelligenza di sinistra, che si ritiene depositaria della cultura e dell’estetica, ha fatto danni enormi al Paese e alla sinistra stessa. Più delle veline di Canale 5. Se poi uno non ha né arte né parte, può sempre fare il critico cinematografico. Come quelli che discettano di calcio al bar».