ROMA, 7 LUG – Pugilato e cinema, nobile arte e settima arte: un binomio di successo, celebrato da innumerevoli pellicole. Metafora della vita, espressione di archetipi fondamentali, rappresentazione e nel contempo sublimazione dell'aggressivita' innata nell'essere umano, la boxe, piu' di qualsiasi altro sport, e' sempre andata particolarmente d'accordo con il grande schermo, e il connubio ha prodotto una miriade di film: spesso di pregio, talvolta capolavori, generalmente – comunque – amati dal pubblico.
La storia di Jack La Motta, che domenica compie 90 anni, e' immortalata in TORO SCATENATO, di Martin Scorsese (1980). L' interpretazione del controverso campione, figlio di emigrati siciliani, e' valsa a Robert De Niro l'Oscar.
Ma il rapporto tra pugilato e cinema – con le vicende di personaggi veri o di finzione – era cominciato molto prima. Basti pensare alle comiche del muto: Chaplin, per esempio (CHARLOT BOXEUR e lo straordinario match in LUCI DELLA CITTA' anzitutto); ma anche Laurel e Hardy, Harold Lloyd, Buster Keaton (IO E LA BOXE).
Tra le pellicole italiane, pugni per far ridere sono quelli di Peppe er Pantera (I SOLITI IGNOTI e il suo sequel), mentre e' un riso amaro quello suscitato da un altro personaggio interpretato sempre da Vittorio Gassman: il pugile suonato de I MOSTRI, con il suo intercalare 'E so' contento', ridotto in carrozzella dalla 'rentree'' organizzatagli dall' amico (si fa per dire) manager Tognazzi.
Echi di tragedia greca, invece, nella saga familiare di ROCCO E I SUOI FRATELLI, capolavoro di Luchino Visconti, in cui la boxe coinvolge e segna, in maniera diversa – abbrutita discesa agli inferi e occasione di riscatto – Simone e Rocco Parondi (rispettivamente, Renato Salvatori e Alain Delon).
Ma e' a Hollywood che il connubio pugilato-cinema ha dato i frutti piu' copiosi. Tra questi, GENTLEMAN JIM, film del 1942 di Raoul Walsh con Erroll Flynn, che narra le gesta del peso massimo James Corbett; o IL GRANDE CAMPIONE (1949, regia di Mark Robson), interpretato da un Kirk Douglas a inizio carriera; o, ancora, STASERA HO VINTO ANCH'IO (1949), di Robert Wise.
Del 1956, due pietre miliari del binomio guantoni-schermo: IL COLOSSO D'ARGILLA e LASSU' QUALCUNO MI AMA. Il primo, ancora di Robson, e' liberamente ispirato alla figura di Primo Carnera e si segnala, tra l'altro, per la splendida (e ultima) interpretazione di Humphrey Bogart; il secondo, ancora di Wise, e' la biografia di Rocky Graziano, il campione dei medi che un grande Paul Newman impersona in tutte le sue sfaccettature.
Da ricordare piu' per le interpretazioni – rispettivamente di Anthony Quinn, Daniel-Day Lewis e Russell Crowe – che per il valore come film, poi, UNA FACCIA PIENA DI PUGNI (1962), THE BOXER (1997) e CINDERELLA MAN (2005). Piu' equilibrato e di pregio 'HURRICANE', di Norman Jewison (1999), in cui un efficace Denzel Washington interpreta quel Rubin 'Hurricane' Carter che gia' aveva ispirato l'omonimo brano di Bob Dylan. Will Smith, invece, e' Cassius Clay-Muhammad Ali in ALI, di Michael Mann (2001); mentre al leggendario oro di Roma 1960 Leon Gast ha dedicato, nel 1996, un bellissimo documentario, QUANDO ERAVAMO RE, che ha vinto l'Oscar per questa categoria.
In una carrellata su boxe e grande schermo, non si puo' non citare la fortunata serie di ROCKY, sei film che nell'arco di un trentennio hanno dato fama e ricchezza a Sylvester Stallone; ne', tantomeno, MILLION DOLLAR BABY, di e con Clint Eastwood (2004), dramma sul pugilato femminile e sull'eutanasia che ha fatto incetta di Oscar, tra cui quello alla straordinaria protagonista Hilary Swank.
Ma la riflessione piu' amara sulla boxe e il suo sottobosco e' forse quella di John Huston – non a caso, pugile dilettante in gioventu' – in CITTA' AMARA – FAT CITY, del 1972: squallide stanze d'affitto, alcool e miserie umane, nell'amicizia tra due falliti che, alla fine, non hanno piu' nulla per cui combattere.
