Dopo Nightwatching, Peter Greenaway torna ad affrontare il tema pittorico esattamente come nel suo film d’esordio I misteri del giardino di Compton House. J’accuse è infatti un documentario noir incentrato sul celebre capolavoro di Rembrandt, “La ronda di notte”(1642), dietro il quale si cela un’intricata cospirazione. Il regista inglese conduce lo spettatore alla scoperta di cinquanta indizi nascosti nella tela del maestro fiammingo. Un’esplorazione visionaria dei 34 personaggi del dipinto di Rembrandt, pronti a commettere un omicidio per mero calcolo politico.
Una storia di vendette e giochi di potere ambientata nell’Olanda del XVII secolo dominata da 12 famiglie aristocratiche. Ma soprattutto un’opera cinematografica sull’arte e la condizione umana dell’artista, figura che nella pellicola di Greenaway diventa testimone e complice della brama dei potenti. E infine vittima, esattamente come accade a Rembrandt, ritrovatosi di colpo povero e cieco.
Il messaggio di Greenaway sembra chiaro: la società non può far a meno dell’artista per celebrare i suoi fasti. Ma proprio nel momento in cui l’arte diventa libera, l’artsista in maniera quasi inconsapevole non potrà che mettere in luce quei vizi che le classi dominanti vorrebbero tenere celati. Per questo l’artista deve pagare ed essere messo in condizione di non nuocere.
Nell’ottica di Greenaway, comprendere il segreto nascosto “La ronda di notte” diventa quindi un’investigazione, una ricerca maniacale condotta tra le pieghe e i colori di una tela. Il tutto mantenendo inalterati quei temi già affrontati nelle sue precedenti pellicole: l’ossessione per i numeri, l’eterno conflitto tra Eros e Thanatos, l’importanza della luce. Un film sorprendente che conferma ancora una volta, semmai ce ne fosse bisogno, la genialità visiva e il talento finissimo di Greenaway.
