Hereafter è semplicemente una pellicola straordinaria, ennesima conferma dello sconfinato talento registico di Clint Eastwood. Un film incentrato sulla ricerca di quanto vi sia di più ignoto e impalpabile nella vita di ogni essere umano: la morte. Un tema che diventa il filo conduttore attraverso il quale unire le vite dei tre protagonisti di questa toccante riflessione sull’aldilà. George – interpretato da un immenso Matt Damon – è un malinconico operaio che ha rinunciato da tempo alla sua attività di sensitivo; Marie (Cecile de France) una giornalista francese miracolosamente sopravvissuta allo tsunami del 2004 dopo un’esperienza di pre-morte; Marcus (Frankie Mc Laren) un bambino che non si rassegna alla perdita di suo fratello gemello morto in un incidente automobilistico.
Tre vite destinate ad incrociarsi al termine di un commovente viaggio – impeccabile la sceneggiatura di Peter Morgan – che si trasforma in una panoramica sull’esperienza del dolore e la profondità dei vincoli affettivi. Ed è proprio nel dipingere il percorso interiore dei suoi protagonisti che il vecchio Clint trasforma il cinema in poesia, con una tensione emozionale sconosciuta a gran parte degli autori moderni.
La storia di George che vive come maledizione la sua capacità di mettersi in contatto con i defunti è sicuramente il punto di forza di Hereafter. Un perfetto outsider, solo e tormentato, capace di trovare serenità unicamente nell’ascolto delle letture radiofoniche di Charles Dickens. Altrettanto struggente è il bisogno di amore del piccolo Marcus, strappato alla madre eroinomane dagli assistenti sociali ed ossessionato dal desiderio di comunicare con il fratellino defunto. Un dolore percepito dal pubblico come ingiustizia derivante da un’esperienza di morte “subita” e non “vissuta” come nel caso di Marie. Personaggio quest’ultimo non alle prese con l’impossibilità di risolvere un dolore interiore ma determinata a sacrificare tutto ciò che ha pur di soddisfare un unico interrogativo: cosa c’è dopo la vita? Esiste davvero un aldilà? Eastwood evita di dare risposte definitive ma ci lascia intuire come la morte potrebbe essere l’inizio di un’altra esistenza e non la fine di ogni cosa, “il vuoto eterno” di cui parla il saccente amante di Marie.
C’è un’incredibile luce di speranza in questo ennesimo capolavoro del texano dagli occhi di ghiaccio. L’amore e il desiderio di eternità dell’essere umano diventano, immagine dopo immagine, le chiavi attraverso cui superare il relativismo e il cinismo utilitaristico della società moderna. L’ultima splendida scena in cui George immagina il bacio con Marie sembra essere un invito da parte del regista a superare il grigiore dell’hic et nunc, per guardare oltre lo stato di finitudine al quale siamo relegati. Ritrovare il senso profondo della vita attraverso l’esplorazione della morte.
Hereafter, di cui Eastwood ha inoltre composto la suggestiva colonna sonora, non è un banale melò spirituale ma semplicemente arte che parla al cuore e sa emozionare. Nulla di nuovo se andiamo a ricordare gli eccellenti film diretti dall’ex l’ispettore Callaghan in questi ultimi 25 anni. Da “Gli spietati” a “Un mondo perfetto”, da “Mystic river” a “Million dollar baby”, senza dimenticare in ordine sparso “Bird”, “Lettere da Iwo Jima”, “Gran Torino”, “Invictus”…Molto probabilmente ci troviamo di fronte al miglior regista contemporaneo. Di sicuro un artista vero che a soli 80 anni non ha ancora smesso di stupirci. Che dire…chapeau Mr Eastwood!