Una verità misteriosa e scomoda, raccontata in 30 minuti di filmato che potrebbero svelare cosa successe veramente il giorno della morte di Pier Paolo Pasolini. Pochi giorni dopo quel 2 novembre del 1975, infatti, Sergio Citti girò un video all’Idroscalo di Ostia rimasto inedito fino ad oggi, nel quale raccontava com’era andato l’omicidio.
Nel 2005 poi, il “film nel film”, girato da Mario Martone in collaborazione con l’avvocato Guido Calvi e l’allora assessore capitolino alla Cultura Gianni Borgna, in cui Citti, stanco e affaticato dalla malattia, commenta le immagini del suo vecchio documentario girato all’idroscalo.
Proprio questo docufilm è stato depositato una settimana fa al pm Francesco Minisci per la riapertura dell’inchiesta sull’uccisione dello scrittore e regista. Il documento, presentato ieri alla Casa del Cinema, è destinato a riaprire il caso. Ci sarebbe un nuovo testimone pronto a riferire “fatti di estrema rilevanza” su quanto accaduto.
Un nuovo testimone. Il filmato realizzato nel ’75 da Citti ricostruisce il giorno della morte di Pasolini all’Idroscalo di Ostia riportando la testimonianza di un pescatore che abitava nella zona e che avrebbe assistito all’assassinio. “Il pescatore mi aveva raccontato cosa aveva visto quella notte ma non voleva essere ripreso perché aveva paura”, dice Citti. “Aveva visto entrare due macchine nell’area, e non una sola. E diverse persone. Pasolini fu preso e tirato fuori da almeno quattro, che l’hanno portato contro una rete e cominciato a picchiare”.
Il pescatore dice di sentire Pasolini urlare. Sembrerebbe che ad un certo punto il regista abbia “finto di essere “finito”, e allontanatisi quegli uomini, si sia tolto la camicia insanguinata. A quel punto una macchina sarebbe tornata coi fari accesi, e quegli uomini lo avrebbero inseguito a piedi.
In dubbio la verità di Pelosi. Citti mette così in discussione la verità “ufficiale” di Pino Pelosi: “In base a quello che mi ha detto il pescatore c’erano due macchine, non una – spiega nel video – e oltre quattro persone che hanno iniziato a picchiare Pasolini”. E aggiunge: “Non credo sia stata la macchina di Pasolini a investirlo, ma l’altra”. Poi il filmato inquadra una rete: “E’ il punto dove Pasolini è stato picchiato – spiega Citti – poi il pescatore non lo ha visto più”.
Due macchine. Ad aggiungere qualche tassello al caso irrisolto, anche le parole dell’ex ragazzo di vita, oggi sessantasettenne, Silvio Parrello: “La macchina che uccise Pasolini, che non era quella dello scrittore, fu portata sporca di fango e sangue prima da un carrozziere sulla Portuense che la rifiutò, poi da un altro che la riparò. I carrozzieri sono entrambi viventi”. “I nomi li so e l’ho fatti un mese fa al giudice – dice Parrello – Come l’ho scoperto? È’ una lunga storia. La seconda macchina, non quella di Pasolini, fu portata quella notte prima a un carrozziere sulla Portuense che si rifiutò di pulirla e sistemarla, poi ad un secondo che la prese in custodia. Poi, stranamente, il 16 febbraio del ’76 a processo iniziato, quella stessa persona che aveva portato la macchina, scomparve. Quattro anni dopo però il suo nome ricompare perché fermato con patente scaduta. Ma il suo caso risultava top secret”.
Parrello racconta che nel frattempo si era fatto vivo un figlio di quest’uomo, nato da una relazione extraconiugale, sconosciuto anche dai più intimi familiari, che voleva conoscere il padre. E nella ricerca s’era fatto aiutare da un amico che lavorava alla Digos, che ha scoperto quanto fosse “top secret” la sua posizione. “Quindi non ci vuole una laurea per capire che è un protetto”. In base ai nuovi elementi, l’avvocato Calvi ha sottolineato che “lo Stato ha un grande debito nei confronti di Pasolini. Arrestato Pelosi, il processo è finito e non è stato fatto più nulla con la cancellazione di elementi fondamentali”.
Che Pelosi non avesse dichiarato la verità fin dall’inizio era chiaro: “Bastava vedere il filmato di Pelosi che entra in carcere senza una macchia di sangue quando il corpo di Pasolini era devastato. Sul luogo del delitto la più elementare delle indagini prevede di circoscrivere l’area quando invece fu consentito a tutti di entrare e disperdere le tracce di una seconda macchina che portava altri protagonisti. La sentenza di condanna per Pelosi fu per omicidio volontario in concorso con ignoti. In Italia è stata coperta con un velo di omertà questa morte, noi ora vogliamo sapere chi sono questi ignoti. Ed è un dovere anche sapere chi ha voluto quella morte. Abbiamo fatto riaprire per due volte il caso ma con indagini sommarie. Questa volta nutro qualche speranza in più”.
Il comune di Roma. La criminologa Simona Ruffini e l’avvocato Stefano Maccioni sono stati nuovamente contattati da un testimone che, affermano, “potrà riferire fatti di estrema rilevanza in merito all’omicidio. Questa persona dice di poter aggiungere ulteriori elementi”. Intanto l’assessore capitolino alla Cultura Umberto Croppi ha ribadito che il Comune resterà parte civile nel processo “se come pare verrà riaperto”. Il mistero potrebbe essere svelato, il caso va avanti.